Bologna, Emilia: dateci un bel segno.
Il #pippone del venerdì/120
Dopo la divagazione “personale” della settimana scorsa, mi pare il caso di tornare a occuparsi della politichetta italiana. Fra il disastro di Venezia e la paventata chiusura dell’Ilva questa è sicuramente la settimana di Bologna. Si concentra tutto lì, dalla manifestazione di apertura della campagna elettorale di Salvini al PalaDozza (sigh) alla tre giorni che dovrebbe dare il via alla rifondazione del Pd (sob). Con in mezzo la piacevole sorpresa dei quindicimila bolognesi che hanno riempito come altrettante sardine piazza Maggiore per far vedere che sono più dei leghisti, che hanno dovuto cammellare truppe dalla Lombardia per riempire lo storico palazzo dello sport. In piazza, altra piacevole sorpresa, anche il padre della candidata leghista alla presidenza della Regione.
L’Emilia-Romagna, diciamolo subito, non è una Regione qualunque. Insieme alla Toscana ha sempre rappresentato un baluardo insormontabile dal dopoguerra a oggi. Più della Toscana rappresenta l’epicentro di un sistema non solo politico, ma anche economico, che ha sempre rappresentato un’alternativa possibile. Una sorta di palestra in cui le idee della sinistra hanno avuto modo di innervare profondamente il tessuto sociale. E quindi si è spesso parlato negli anni di modello emiliano in economia, con la crescita dei grandi colossi cooperativi, dalle mense, alle assicurazioni, alle costruzioni, di modello emiliano nella sanità e nell’istruzione. Gli asili nido emiliani, andrebbe risposto a chi straparla del caso di Bibbiano, li venivano a studiare da tutto il mondo fin dal secolo scorso.
Certo, il vento nazionale resta contrario. Le difficoltà del governo, acuite dall’egocentrismo di un Renzi che si considera un novello Macron, sono sotto gli occhi di tutti. E’ difficile andare avanti sulla normale attività, si va in tilt appena c’è una crisi. In più il sempre più rapido declino dei 5 stelle li porta a dei guizzi disperati, come il pesce preso all’amo che tenta l’ultimo vacuo tentativo di sottrarsi alla lenza.
Andiamo con ordine. Il fiorentino dice ormai apertamente quello che qualcuno “sospettava” già da anni. La sua lettura della famosa “vocazione maggioritaria”, che tanti danni ha portato alla sinistra italiana, era già evidente, bastava avere la capacità di guardare con occhi distaccati le sue azioni: trasformare il Pd in una novella Dc, capace di aggregare voti un po’ da tutte le parti, ma puntando decisamente a quel centro moderato che il declino di Berlusconi ha via via liberato. Che in tanti se ne se siano accorti a cose fatte è uno dei sintomi più evidenti della pochezza della nostra classe dirigente. E di fatti con c’è riuscito più per la sua incapacità strategica che per meriti altrui. E adesso ci riprova con la sua nuova creazione. Lo ha dichiarato apertamente: vuole fare come Macron, (che a casa sua sta riscuotendo evidenti successi!) ovvero svuotare il campo socialista come è successo, a suo dire, in Francia. Peccato che dimentichi come la crisi irreversibile del Psf ha portato sì consensi a Macron, ma parallelamente è cresciuta fino a raggiungere il 20 per cento l’esperienza della sinistra della France Insoumise. Devo ancora ripetere che in Italia manca, a oggi, una risposta da sinistra?
Di certo, comunque, il protagonismo renziano, sia sulla manovra economica, che sui temi più politici delle alleanze per battere la destra, alza il livello di conflittualità nella coalizione che sostiene il governo Conte e questo non fa bene. Sia per il blocco dell’azione del governo stesso che deriva dai veti contrapposti fra Italia Viva e i 5 stelle, sia perché tutto questo, come risultato finale, porta a un grande disorientamento fra gli elettori. La politica, mi prendo una riga per ricordarlo, è una cosa in fondo semplice: i voti si conquistano lanciando messaggi chairi al blocco sociale che si vuole rappresentare. La confusione, o il voler rappresentare tutti che in fondo è un po’ la stessa cosa, ti porta automaticamente a perdere.
Dall’altro lato il Movimento 5 stelle appare incapace di tornare alle origini, dopo la sbornia dei 14 mesi leghisti. Per cui quella che dovrebbe essere, almeno a guardare le rispettive carte di identità, la parte più vivace del governo, quella capace di lanciare proposte innovative, di dare risposte originali ai problemi che dobbiamo affrontare, si ritrova al contrario a guardare soltanto al proprio ombelico. Il centralismo poco democratico di Di Maio ha avuto come prima conseguenza l’imborghesimento di tutto il Movimento che è diventato nel giro di pochi anni un partito normale, con le sue correnti, le sue poltrone da difendere, senza però avere la struttura e le regole democratiche di un partito normale. E’ evidente, soprattutto, la distanza con le aspettative del suo corpo elettorale.
E allora cambiano linea due volte al giorno, vagano alla ricerca della purezza perduta, senza capire che la strada giusta sarebbe quella indicata da Zingaretti. Il M5s, sulla carta, potrebbe essere davvero la gamba indispensabile per provare a costruire un’alleanza in grado non solo di battere la destra, ma di governare il nostro Paese con la necessaria discontinuità rispetto al passato. Ma deve tornare a essere quello che difendeva l’acqua pubblica e predicava trasparenza in tutte le scelte. Servirebbe, forse, una presenza rinnovata di Beppe Grillo, che sarà anche un pazzo, ma è forse l’unica ancora di salvezza alla quale possono aggrapparsi.
Tutto questo per dire che a gennaio sarà dura anche in Emilia. Anche in una Regione da sempre governata bene dalla sinistra, che rischia però di piegarsi a un vento nazionale contrario che sembra sempre più forte. Per questo piazza Maggiore è un bel segnale. Un segnale che c’è ancora un tessuto sociale forte che non vuole “legarsi”, come dicono i ragazzi che hanno organizzato la manifestazione di ieri. Dobbiamo avere la capacità di partire da quella piazza e non dalle convention che si annunciano storiche e finiscono per essere un vetrina mediatica di basso profilo.
Emilia, a gennaio dacci un bel segno.
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