Archive from luglio, 2020

Questa volta non mancano le risorse.
Il pippone del venerdì/149

Lug 24, 2020 by     No Comments    Posted under: Il pippone del venerdì

Quante volte abbiamo sentito dire “mancano le risorse” quando si tratta di finanziare un progetto o un’opera? Ho perso il conto. Ora, mediamente si tratta di una balla, viviamo in uno dei paesi più ricchi del mondo e le risorse le abbiamo, si tratta sempre di decidere a cosa destinarle, quali sono le priorità. E negli ultimi 20 anni almeno, non si sono mai trovati soldi per la sanità, per la scuola, per la ricerca. Ma anche facendo finta di credere a chi ti ha sempre risposto che “mancano i soldi”, adesso le risorse ci sono. Con l’accordo sul fondo europeo per la ripartenza l’Italia avrà a disposizione oltre 200 miliardi, escludendo il Mes sul quale il dibattito pare ancora lontano dall’arrivare a una conclusione. In parte, come è noto, si tratta di un contributo a fondo perduto, il resto è un prestito a tasso molto conveniente per un Paese come il nostro che ha scarsa credibilità sui mercati finanziari e che quindi quando emette titoli paga il denaro molto caro.

E 200 miliardi sono una bella dotazione. A patto che non vengano dispersi in mille rivoli, con le solite mance all’italiana.

Nelle settimane scorse il governo ha presentato alle parti sociali il suo piano per rilanciare il Paese. Un piano che contiene molti spunti condivisibili, altri meno (penso al sempre verde ponte sullo stretto di Messina).

Io credo che serviranno investimenti mirati, non ad esempio una generale riduzione delle tasse, che non portebbe a un automatico aumento dei consumi, ma al massimo del risparmio. Provo a dire alcuni ambiti di possibile investimento.

Intanto le opere pubbliche. Che sono da sempre il più grande moltiplicatore di investimenti. Lo diceva Keynes, un liberale, non un pericoloso comunista. Non credo che servano grandi opere in senso classico, ma investimenti mirati sul trasporto pubblico su ferro, sulla manutenzione del territorio, sulla digitalizzazione del Paese. Opere che servono a renderci più competitivi.

Poi ci sono istruzione, sanità e ambiente. Su questi tre filoni credo che debba andare la massima attenzione del governo. In sostanza, per essere breve, sono le chiavi per garantire un futuro all’Italia senza doversi sempre affidare al classico stellone nostrano.

Da non dimenticare tutto il capitolo delle riforme. Ora, dopo la stagione che va da Monti a Renzi fino al primo governo Conte, gli italiani quando sentono parlare di riforme tendono a blindare il didietro. Sarebbe il caso di farli ricredere. Di dimostrare che una seria riforma del mercato del lavoro può essere fatta a partire dai diritti, che vanno attualizzati ed estesi a tutti, non contro i lavoratori, che una seria riforma della pubblica amministrazione non deve per forza generare norme cervellotiche che vanno ad arricchire le agenzie di servizi e che causano nella miglior delle ipotesi un gran mal di testa al cittadino comune.

Per non parlare della giustizia. L’indeterminatezza del diritto in Italia è uno degli aspetti che più allontana gli investitori stranieri insieme all’instabilità del sistema politico. Perché chi investe ha bisogno di avere certezze, di sapere cosa è consentito e cosa è vietato. E soprattutto ha bisogno di sapere che in caso di contenzioso l’esito arriverà in un tempo compatibile con la sua aspettativa di vita. Quindi norme semplici, che, lo ripeto, non vuol dire assenza di regole, ma l’esatto contrario e applicazione rigorosa delle stesse norme.

Sono soltanto alcuni titoli, mi rendo conto. Ma faccio il giornalista e posso soltanto indicare i temi. Serve un lavoro collettivo per passare dai titoli ai contenuti. Un lavoro che coinvolga le forze sociali, alle quali non si può semplicemente presentare un documento finito, devono partecipare all’elaborazione del piano.

E serve sopratutto il coinvolgimento di tutte le forze politiche. I Paesi seri, nei momenti di emergenza fanno così. Lavorano tutti insieme. Non credo basti un semplice vertice fra maggioranza e opposizione. Il confronto deve essere pubblico e ampio. Un luogo dove possa aver luogo c’è, è quello naturale, il Parlamento. A patto che il passaggio dall’esecutivo all’assemblea non rappresenti il classico assalto alla diligenza a cui si assiste da sempre in occasione delle manovre economiche. Al contrario deve essere un’assunzione collettiva di responsabilità. E un passaggio parlamentare non soltanto è necessario per ridare centralità alla democrazia dopo il lungo stop imposto dall’emergenza. E’ necessario anche per rafforzare la posizione italiana nei confronti dei partner europei.

Al di là della eccessiva consuetidine con la polemichetta quotidiana che affligge la nostra classe politica, va ammesso che Conte ha portato a casa un risultato che in pochi avrebbero pronosticato. Averla spuntata sugli eurobond, ovvero sulla ripartizione fra tutti i paesi delle spese necessarie alla ripresa, è una svolta epocale, perché mette chi è più debole dal punto di vista dei mercati al riparo dagli affamati speculatori che già pregustavano di fare man bassa dei pezzi pregiati della nostra economia. Vuol dire in sostanza che il debito italiano, almeno in parte, diventa un debito europeo.

Non è poco, ma adesso dobbiamo dimostrare che questa apertura di credito non è un salto nel buio. E questo si fa a partire da un piano solido sostenuto da un ampio consenso, sociale e politico.

La finisco qui. Questo dovrebbe essere l’ultimo pippone prima delle vacanze, scritto con gli occhi stanchi di chi ha bisogno di staccare la spina dalle preoccupazioni di ogni giorno. E quindi dovrei dirvi: ci vediamo a settembre, ricaricatevi. Ma lascio la questione in sospeso, c’è una storiella di voucher e di rimborsi che solletica il mio istinto predatorio. Non disperate.

Le autostrade e i monopoli privati da scardinare.
Il pippone del venerdì/148

Lug 17, 2020 by     No Comments    Posted under: Il pippone del venerdì

Quello della gestione delle autostrade e del ruolo della famiglia Benetton è stato sicuramente il tormentone della settimana, se non degli ultimi mesi. La conclusione non è ancora arrivata, quando si conosceranno i dettagli e l’accordo diventerà operativo se ne potranno valutare costi, rischi e benefici. Di certo si può dire che si è trovata una soluzione che, in apparenza, raggiunge il risultato voluto, riportare una buona parte delle autostrade italiane sotto il controllo pubblico, evitando gli effetti negativi che una eventuale revoca avrebbe provocato. Intanto si sarebbe mandata gambe all’aria una società che avrà anche tutte le colpe del mondo, ma non ha come unico azionista la famiglia Benetton, famiglia che in questo periodo, nell’immaginario collettivo, è diventata un po’ il simbolo del capitalista cattivo, che guadagna dalle debolezze dello Stato e poi se ne approfitta pure. Ci sono fondi di investimento, fondi pensione, migliaia di riparmiatori che avrebbero avuto la peggio, questa volta senza alcun omblrello protettivo.

Altra certezza è che il crollo del ponte Morandi, con il suo carico di vittime, doveva portare necessariamente a un cambio di gestione.

Si è arrivati a una soluzione in apparenza indolore, dove il pubblico entrerà grazie a un aumento di capitale e quindi senza nessun guadagno automatico per i vecchi proprietari, senza i traumi che una eventuale revoca della concessione avrebbe inevitabilmente provocato. Per garantire sicurezza e al tempo stesso continuità nella gestione di infrastrutture nevralgiche e complesse come le autostrade senza una società preparata e dotata delle professionalità necessarie. Poteva essere Anas Sicuramente ne avrebbe avuto le capacità tecniche, ma sarebbe servito un periodo di rodaggio che forse non avremmo potuto sopportare.

Restano alcuni punti da chiarire. Intanto, di fatto, lo Stato diventato concessionario di se stesso. In pratica investe, probabilmente attraverso Cassa depositi e prestiti, in una società che è titolare di una concessione pubblica. E questa situazione sicuramente ha dei lati oscuri. Intanto il sistema dei controlli. Nel crollo del ponte di Genova avrà sicuramente le sue responsabilità la società di gestione, ma anche chi non ha controllato a dovere. Cambierà qualcosa avendo il controllo pubblico della gestione?

Ora, non è che un sistema pubblico funziona automaticamente meglio o peggio di uno privato. Si tratta semplicemente di stabilire i ruoli che gli attori economici e lo Stato devono avere. Nel mio piccolo, con le poche reminiscenze di economia che mi derivano dall’ormai lontana università, resto convinto che le situazioni di monopolio naturale debbano essere saldamente in mano al pubblico. Per due ragioni. Intanto perché il sistema privato, in una società di natura capitalistica, può funzionare soltanto in regime di concorrenza. E anche in quel caso, per un socialista come me, sarebbe bene che, almeno, si muovesse dentro un sistema di regole certe e controlli ferrei.

Ma poi perché, lo ribadisco ancora una volta, le reti strategiche di una nazione non possono essere soggette al mercato. Si dice, beh ma in realtà le autostrade non sono neanche un monopolio perché sono soggette alla concorrenza di treni, aerei e navi. In realtà di tratta di sistemi di mobilità di natura profondamente differente e in molti casi neanche alternativi, complementari semmai. E poi bisogna anche valutare l’enorme quantità di mobilità che, in Italia almeno, si svolge su gomma. Non che questo sia un dato immutabile sul quale non si possa intervenire, ma la situazione data è questa.

Speriamo, dunque, che una grande tragedia possa portare a ridefinire la strategia pubblica nei confronti delle reti.

Ultimo punto: Goffredo Bettini, autorevole dirigente del Pd che in molti indicano come l’ispiratore della linea di Zingaretti, ha detto con parole chiare che questa vicenda segna un deciso cambio di atteggiamento della sinistra che non si piega più di fronte ai poteri forti, che poi in Italia sono poche grandi famiglie che continuano a dominare lo scenario economico. Non so se sia semplicemente un modo elegante per capitalizzare politicamente questa vicenda. Né è ben chiaro chi fosse il bersaglio della critica di Bettini. Di certo si tratta, al di là della semplificazione necessaria in un’intervista, di un’evoluzione importante nel pensiero del principale partito della sinistra moderata. Sarebbe il caso che questa linea si applicasse a tutti i campi, a partire dal mercato del lavoro.

Speriamo che si segua su questa strada, quella del ritorno del ruolo dello Stato come attore economico nei settori che si ritengono strategici per lo sviluppo del Paese.

Certo, questo comporta anche un ritorno alla definizione di una strategia a lungo termine, non soggetta agli umori dei sondaggi settimanali. E su questo permettetemi di mantenere, diciamo così, almeno qualche dubbio. Si potrebbe ripartire, ad esempio, con il dare seguito al referendum sull’acqua pubblica o sarebbe chiedere troppo?

Nell’attesa la finisco qui, un pippone estivo non può prescindere dalle gocce di sudore che, anche all’alba, tendono ad annebbiare le idee e la vista. Un’altra settimana è passata: si va verso le vacanze, seppur con mascherina e amuchina al seguito.

Berlusconi santo subito.
Il pippone del venerdì/147

Lug 3, 2020 by     No Comments    Posted under: Il pippone del venerdì

Ora, diciamolo, le temperature di questi giorni invitano più ad andare al mare che a mettersi di fronte a un computer per ragionare. E la tentazione di rinviare ulteriormente questo appuntamento settimanale è stata forte. Del resto, succede sempre arrivati a questo punto dell’anno, si comincia a provare un bisogno di distaccarsi dalle vicende quotidiane, che dal canto loro, nella pochezza della vita politica nostrana, non aiutano davvero. Quest’anno, malgrado l’emergenza coronavirus, non fa eccezione. La scarsa qualità complessiva della nostra classe dirigente emerge forse ancor di più proprio in virtù della situazione eccezionale. Che ci si metta a discutere delle presidenze delle commissioni parlamentari a metà luglio, con il Paese in mezzo a una crisi senza precedenti, la dice lunga. Ma questa è un’altra storia, che, diciamolo, non vale la pensa di una sudata davanti al pc.

Una riflessione, secondo me, vale la pena di farla su questa storia della persecuzione contro Berlusconi. Sarà breve, non temete. La vicenda è nota, ma la sintetizzo per dovere di cronaca. Spunta fuori dal cilindro di un prestigiatore mediocre una registrazione di una conversazione tra un magistrato della Cassazione e Berlusconi stesso. E’ di qualche anno fa. Il tema è la condanna del leader di Forza Italia. In sostanza il magistrato parla di una sorta di grande complotto che sarebbe stato ordito per pilotare quella sentenza (in realtà sono tre, una per ogni grado di giudizio) ed eliminare lo scomodo personaggio dalla vita politica italiana. Quella registrazione, sostengono i legali di Berlusconi, viene fatta trapelare soltanto ora per rispetto verso il giudice, allora ancora in servizio, che sarebbe stato sicuramente danneggiato da quelle parole. Viene da chiedersi perché farla uscire adesso allora: soltanto per amore di verità? Quella vicenda è ormai conclusa, Berlusconi è sempre al suo posto, non è stato nelle aule parlamentari per qualche anno, ma alla fine non pare che ne abbia risentito più di tanto. Il suo declino è dovuto più all’età che avanza anche per lui, che al lavoro dei magistrati del quale gli italiani non hanno mai tenuto gran conto nel dare il loro voto.

Viene il sospetto che sia stata tirata fuori adesso soltanto perché si tratta del momento più basso per la credibilità della magistratura italiana. E’ come un incastro perfetto nel puzzle che si sta costruendo con un processo di demolizione non dell’autorevolezza di un singolo magistrato, ma di tutto il sistema. Già che ci siamo, sembra di leggere tra le righe, avviamo anche il processo di santificazione del Berlusconi. Almeno per Craxi hanno aspettato che passasse qualche anno dalla morte, qua invece si parte con il protagonista ancora in vita. Meglio portarsi avanti con il lavoro, visto che il momento è propizio. Ora, si potrebbe ribaltare il ragionamento parlando di tutte le sentenze di prescrizione ottenute dall’anziano leader grazie al certosino lavoro di stuoli di avvocati, ma non è questo il livello di ragionamento che mi interessa affrontare. Berlusconi non può essere santo né ora, né fra vent’anni, non tanto per le sue vicende giudiziarie, sulle quali evito come sempre di intervenire, ma per quello che ha rappresentato nella storia d’Italia negli ultimi decenni.

Per la cultura del disprezzo delle regole, per l’opera di destrutturazione che ha sapientemente avviato e portato a termine nella nostra società, per aver governato questo nostro Paese facendo leva sulle divisioni, aizzando i poveri contro i più poveri, disprezzando la Costituzione e agendo da motore primo di quel populismo che alla fine ha finito addirittura per travolgerlo. L’eliminazione prima dei partiti, poi di tutti i corpi intermedi, l’avversione per le regole democratiche, nasce tutto da lì, da quella discesa in campo che già nella libreria di cartone alle sue spalle non prometteva davvero nulla di buono.

E’ stata la personificazione della parte peggiore del nostro Paese. Per arrivare al potere ha solleticato le nostre fobie, dato spazio alla nostra parte peggiore, quella che cerca sempre una scorciatoia e passa sopra le regole per arrivare al risultato desiderato. Detta in breve è stato la voce dell’Italia peggiore che ha finito per travolgere ed emarginare le energie migliori di questo Paese.

Per questo non può essere né santo né, tanto meno, uno statista. E il giudizio non può cambiare per una sentenza. Certo, il nostro sistema giudiziario fa acqua da tutte le parti, per la lentezza dei processi, perché le nostre aule di tribunale sono ferme all’800. Forse anche per la scarsa preparazione di parte della magistratura. Che ci siano maneggioni anche fra i magistrati, del resto, non dovrebbe essere una sorpresa per nessuno. Non si vede proprio perché, dopo decenni in cui è stata esaltata la furbizia al posto dell’intelligenza, la capacità di arrangiarsi al posto del merito, la magistratura dovrebbe essere un’isola felice, avulsa dal contesto del Paese. Un contesto di cui, non da solo, è responsabile in primis proprio Berlusconi, quello che oggi taluni vorrebbero dipingere come vittima di un sistema che ha contribuito a creare con la sua opera culturale e politica. Ma del resto, non ho dubbi, in questo Paese a memoria ultracorta passerà anche la nuova immagine del Berlusconi immacolato e santo. Meglio il mare.

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