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Due o tre cose sulle elezioni europee.
Il pippone del venerdì/87

Feb 8, 2019 by     No Comments    Posted under: Il pippone del venerdì

O si va avanti tutti insieme o non va avanti nessuno. Era uno slogan di una vecchia campagna di tesseramento alla Cgil, negli anni ’50 del secolo scorso. E nel marasma senza forma della politica attuale suonano davvero lontane e allo stesso tempo sempre più attuali. Non da ora credo che il sindacato sia l’ultimo baluardo della nostra democrazia. Che non è costruita sul rapporto diretto fra governanti e cittadini. Il nostro sistema costituzionale non considera il voto come unico strumento di controllo del popolo sul potere legislativo. Tutt’altro. La nostra Costituzione considera come elemento centrale della democrazia la partecipazione continua dei cittadini alla vita dello Stato. Lo strumento individuato sono i cosiddetti corpi intermedi: i partiti, i sindacati, l’associazionismo. Senza questo elemento di “mediazione” cambia la forma stessa dello Stato.

Il disegno che sta scritto nella carta, non a caso considerata intrisa di elementi di socialismo, è semplice e chiaro: per una vera democrazia l’intervento del cittadino al momento del voto non è sufficiente. Il motivo è evidente. Se così fosse il potere economico, che nella società della comunicazione diventa ancora più pervasivo, diventerebbe un tutt’uno con il potere politico. Ecco allora che l’unione nei partiti e nei sindacati diventa quello strumento di affrancamento dei deboli che nella teoria marxista è la strada che conduce al superamento del modo di produzione capitalistico. Ed ecco perché le forza della destra da sempre hanno osteggiato la partecipazione. Divide et impera, sentenziavano i romani nell’antichità.

E noi, come dire, abbiamo abboccato in pieno. Al di là degli errori strategici, del bagno di liberismo che ha infestato le nostre acque, io resto convinto che l’errore fondamentale che abbiamo commesso dall’89 in poi sia questo. Certo l’aver sposato le teoria della destra capitalista ha un suo peso. Abbiamo perso la nostra diversità e al tempo stesso abbiamo perso la speranza nella possibilità di un futuro differente. Ma ancor più grave è essere stati folgorati dal fascino del leaderismo: abbiamo creduto che la fine dei partiti fosse inevitabilmente collegata al mondo nuovo con il quale non abbiamo saputo fare i conti.

Il congresso del Pd che si sta stancamente svolgendo in questi mesi ne è l’esemplicazione perfetta. Fanno passare come grande esercizio democratico il rito della scelta del leader. Un rito meramente muscolare dove vince quello che ha più mezzi e annovera fra le sue file il numero maggiore di notabili locali. Ogni giorno si alzano polveroni mediatici, si lasciano le truppe libere di scannarsi tra loro, ma su cosa? Sul nulla. Qualcuno si alzi in piedi e mi spieghi le differenze fra i candidati in lizza. Nessuna analisi su quanto è successo, sulle ragioni delle sconfitte. Nessuna proposta di radicale innovazione. Al massimo si invoca discontinuità e ci si propone di ricostruire il Pd. Su quali valori, su quali fondamenta non si dice mai. Semplicemente perché non ci sono valori, non ci sono fondamenta da cui costruire. Il Pd è un’alleanza elettorale resa permanente, non un partito di massa. Non a caso il meccanismo delle primarie è estraneo alla cultura europea e viene direttamente importato dagli Usa. Da un sistema dove, anche qui banalizzo, economia e politica sono spesso una cosa sola e non vi sto a raccontare chi vince.

E’ l’era della cosiddetta disintermediazione. Avviene nell’informazione, così come nella politica. Ce la vogliono far passare come la massima espressione di libertà, ma in realtà rappresenta il culmine della dominazione capitalista. L’eliminazione della libertà di informazione, che è l’effetto della disintermediazione in quel campo, è stata la condizione necessaria per il sovvertimento del sistema dei partiti. Ci hanno cibato per anni con il mito della “kasta” da combattere e non avevamo capito che insieme alla kasta avrebbero spazzato via anche la possibilità di partecipare e di cambiare davvero il nostro mondo.

Detto questo, sabato bisogna andare in piazza con Cgil, Cisl e Uil. Perché, con difetti e limiti che tutti conosciamo, sono l’ultimo presidio di democrazia che ci resta. Ancora di più dopo l’elezione di Landini a segretario della Cgil. Uno che ha ben in testa quello che sta avvenendo. Attorno a questo presidio, insomma, c’è, secondo me, l’unica possibilità di ripartire. E per ripartire bisogna guardare alle elezioni europee andando al tempo stesso oltre le elezioni europee.

A quanto pare, a maggio avremo sicuramente in campo il Partito democratico, non si sa ancora bene se da solo o sciolto nel fronte cosiddetto “antipopulista”, e l’ammucchiata capitanata da De Magistris dove convivono formazioni che si battono per uscire dall’Europa con chi dice l’esatto contrario. Roba che viene voglia di votare Salvini. La sinistra, in tutto questo, rischia di restare a casa. Che, come ho già detto mesi fa, può anche essere un’opzione dignitosa. Ma se su quella scheda ci fossimo sarebbe sicuramente meglio. Ora, alle elezioni regionali in Abruzzo e Sardegna gli elettori troveranno ancora il simbolo di Liberi e Uguali. Perché di fatto era l’unica scelta possibile, anche se le nefaste fratture nazionali si fanno sentire purtroppo anche a livello locale. Vedremo che risultato avranno queste liste. Temo non eccezionale, visto quello che è successo negli ultimi mesi.

Io credo che dovremo impiegare il tempo che ci separa dalle urne a costruire il partito della sinistra ecologista e socialista che abbiamo immaginato. Consapevoli che è un tentativo necessario ma non sufficiente. E credo anche che, al tempo stesso, dovremo verificare fino in fondo se sia proprio impossibile ripresentare Leu anche per l’Europa. Può sembrare assurdo, ma se ci pensate bene, di fratture di fondo fra le forze che hanno dato vita alla lista per le politiche non ce ne sono. Le differenze, io così la penso, sono di poco conto. E se può stare insieme l’accozzaglia di De Magistris, a maggior ragione avrebbe senso ripresentare Liberi e Uguali. Andare alle europee consapevoli che serve un orizzonte più ampio se vogliamo davvero far diventare la parola “Ricostruzione” un percorso concreto verso un soggetto politico basato sulla parola partecipazione. Dove si costruisca la classe dirigente, sperimentandola sul campo e non facendola crescere in provetta. Chissà. Magari a forza di sbagliare per una volta la azzecchiamo.

E’ ora di premere sull’acceleratore.
Il pippone del venerdì/83

Gen 11, 2019 by     No Comments    Posted under: Il pippone del venerdì

Passate le feste, oltre che con qualche chilo in più, ci ritroviamo tutti con parecchie certezze in meno. Quello che sembrava un asse di ferro fra Salvini e Di Maio, di giorno in giorno, si mostra in tutta la sua fragilità. E’ un po’ la storia della coperta troppo corta: ognuno cerca di tirarla dalla sua parte e i sondaggi ondeggiano a seconda del tema della settimana. La Lega scende? Salvini alza la voce sui migranti. E anche la “sconfitta” subita nei giorni scorsi, quando alla fine ha dovuto ingoiare un accordo sulla vicenda dei 49 disperati rimasti in mare per settimane, in realtà conferma il suo profilo dell’uomo inflessibile. Che siano gli altri che scendono a compromessi, lui dice sempre no. E sono sicuro che i prossimi sondaggi registreranno il favore di un numero crescente di cittadini. Il tema immigrazione, anzi più che il tema la percezione che ne abbiamo, continua a essere terreno fertile per Salvini e soci. Siamo razzisti? Non so, di sicuro temiamo le differenze, un bel paradosso se ci pensate bene: l’Italia nasce come paese meticcio per eccellenza, fin dai tempi dell’impero romano. E non potrebbe essere differentemente vista la nostra posizione centrale nel mediterraneo. Dire “chiudiamo i porti” in un paese accerchiato dal mare è evidentemente una bestialità, ma ci vorrà tempo per capirlo.

Detto questo, comunque, malgrado alzino polveroni per coprire la realtà, presto toccherà fare i conti con l’economia che non tira, una nuova recessione alle porte, i provvedimenti promessi che non arrivano. Il bluff di quota cento e del reddito di cittadinanza sarà evidente. Per non parlare dell’opportunismo dei 5 Stelle. Di Maio sta facendo da uomo di governo l’esatto contrario di quello che predicava dall’opposizione. Salva le banche, fa gasdotti, dà il via libera alle trivellazioni nello Jonio. Solo per citare i titoli dell’ultima settimana.

Non credo che le contraddizioni porteranno all’esplosione di una crisi di governo in tempi brevi, troppo alta la posta in gioco per entrambi gli attori principali della commedia. Più probabile che si attendano le elezioni europee, che saranno una sorta di grande sondaggio sul campo. Se i risultati faranno emergere la possibilità di una maggioranza alternativa, in particolare un classico centro destra, Salvini non ci penserà due volte e scaricherà gli ingombranti alleati, pronto a diventare il protagonista assoluto di un governo con gli alleati di sempre.

In tutto questo non possiamo stare a guardare. Secondo me ci sono due eventi da seguire con grande attenzione. Il primo è il congresso della Cgil, dal 22 al 25 gennaio ci sarà l’assise nazionale che concluderà questo lungo percorso del più grande sindacato italiano. Ora, non ci sarà mai – malgrado secondo me resti la strada maestra per ricostruire una forte rappresentanza della sinistra – un impegno diretto della Cgil in politica. La tradizionale separazione e autonomia del sindacato rispetto ai partiti ha retto in stagioni in cui era molto più difficile, figuriamoci se verrà meno adesso. Ma un sindacato rinnovato e attento a quello che succede nella sinistra serve ai lavoratori, aiuta a costruire un’opposizione più forte e a lavorare per la costruzione di uno schieramento realmente alternativo. La presenza di forti corpi intermedi è la vera cura contro il razzismo e i populismi vari.

Ovviamente in questo senso non si può che auspicare un accordo che porti a una segreteria unitaria guidata da Landini. Una vittoria di Colla, sostenuto sostanzialmente dai pensionati, potrebbe perfino avviare un processo di disgregazione della Cgil, sicuramente non sarebbe accettata dalla grande maggioranza degli iscritti. Intanto per il modo in cui è stata proposta la sua candidatura: non con un documento alternativo, ma, nella sostanza, approfittando di un sistema congressuale che si basa su complicati equilibri fra i delegati. E poi perché, magari a torto, Colla viene rappresentato come la lunga manus del renzismo che cerca di prendere il controllo del sindacato dopo aver lavorato per anni per rendere marginale il suo ruolo, quello della Cgil in particolare. Se ne parla ancora troppo poco di questo congresso, un grande processo democratico che nei mesi scorsi ha coinvolto milioni di lavoratori e pensionati. La passione italica per la notizia secca non aiuta a seguire i percorsi lunghi e complicati. Dovremmo provare ad accendere più di un riflettore sulle scelte che saranno compiute nei prossimi giorni.

L’altro fronte da seguire è il processo di costruzione di una forza di natura socialista nella sinistra italiana. Fronte essenziale se è vero che una parte dell’elettorato grillino manifesta un disagio crescente verso gli atti di questo governo. Diventa ancora più urgente. Il “mi sa che ho fatto una cazzata” degli elettori di sinistra che hanno scelto i 5 stelle non si trasforma automaticamente in un ritorno a casa. Soprattutto se una casa non esiste. Il Pd, ancora dominato nei fatti da Renzi, di sicuro non sarà un porto attrattivo per questi migranti della politica. E neanche una vittoria di Zingaretti alle prossime primarie, secondo me, rappresenterebbe automaticamente un vestito nuovo e convincente per un marchio consumato dalle politiche degli anni scorsi. Del resto il presidente del Lazio, che adesso invoca discontinuità rispetto al passato, non è che sia proprio stato un oppositore di Renzi. Anzi, ne ha sposato tutte le scelte principali, speso con il silenzio, altre volte con un esplicito consenso.

La crisi di consenso di Di Maio  e soci, insomma, ci pone l’urgenza di accelerare. Tanto più se, come pare di capire, il ritorno in campo di Di Battista cercherà di creare una sorta di “partito di lotta e di governo”, in cui si proverà a far ingoiare  grossi rospi all’elettorato grillino tradizionale puntando sull’appeal movimentista del figliol prodigo appena tornato dal suo viaggio in Sudamerica.

Accelerare per fare cosa? Fallito il progetto di Liberi e Uguali, abbiamo il dovere di costruire una forza politica, di natura socialista, che superi le difficoltà del momento e ci faccia stare in campo. E’ necessaria intanto per dare una alternativa ai delusi, ma anche per pensare, dopo le europee alla ricostruzione di un campo ampio che metta insieme i progressisti e venga percepito come alternativa credibile alla destra. La dico chiaramente: anche con il Pd derenzizzato che tutti ci auguriamo di trovare dopo le elezioni, non cesserà la necessità di dare rappresentanza politica alla sinistra italiana. Perchè il Pd resterà quello di Franceschini e Gentiloni.

E allora dobbiamo fare in fretta. Il documento lanciato da Mdp con l’assemblea di metà dicembra rappresenta una buona base di discussione. Si avvii, finalmente, la costruzione di un partito, con iscritti, sedi fisiche, reti di comunicazione classiche e virtuali. Proviamo a sperimentare forme nuove di partecipazione diretta, di organizzazione orizzontale e non tradizionale. Cerchiamo di recuperare l’impegno dei tanti compagni che avevano visto in Liberi e Uguali una speranza e che adesso sono tornati a chiudersi nel pessimismo (con molte ragioni). L’entusiasmo non c’è, non nascondiamolo. Troppo tempo è trascorso a inseguire i tentennamenti di leader senza popolo.

E’ tempo di ripartire dai fondamentali. Una forza socialista. Sarebbe di sicuro un buon inizio.

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