Archive from settembre, 2017

M5s: la fabbrica dell’irrealtà.
Il pippone del venerdì/26

Set 29, 2017 by     No Comments    Posted under: Il pippone del venerdì

Ora, vi aspettate tutti una lunga tirata riprendendo le argomentazioni di D’Alema, elogiando Montanari che parla di sinistra, bacchettando Pisapia e i pisapini che si sono offesi, applaudendo il presidente Grasso… Sono stato molto tentato, ma ieri l’ineffabile avvocato milanese ha affermato chiaramente che lavora a un soggetto politico non alternativo al Pd, ma sfidante, con questa legge elettorale. Come dire, se cambiate la legge ci alleiamo subito, basta mettersi d’accordo. Per me la partita è chiusa. Parliamo d’altro.

Voglio tornare, dunque, sul carattere profondamente antidemocratico dei Cinque stelle. Ne avevo già ampiamente parlato in questo articolo addirittura nel 2014, devo dire che ne sono sempre più convinto: dovrei cambiare il mio nome in “Cassandro”.

E’ cronaca di questi giorni la richiesta di rinvio a giudizio per il sindaco di Roma, Virginia Raggi, colpevole, secondo la procura, di falso. Era indagata per due ipotesi di reato: falso e abuso di ufficio. Per la seconda è stata chiesta l’archiviazione. Ora la notizia principale, da giornalista, è che il sindaco della Capitale d’Italia rischia il processo per falso. E, invece, ovunque vedi scene di giubilo. Non degli altri partiti, sia chiaro. Sono proprio i pentastellati a esultare. Dice il capo: “Ora la stampa deve chiedere scusa, la Raggi è stata scagionata”. Sì, viene scagionata per l’abuso di ufficio, un reato nel quale, come ben sanno tutti gli amministratori, è facile incappare, vuol dire semplicemente che si adottato un atto che non rientrava nei propri poteri. E visto il groviglio di leggi con cui un sindaco si trova a dover combattere quotidianamente può anche capitare. E poi, secondo la procura, la nomina di Marra (sempre di questo galantuomo stiamo parlando) resta illegittima, manca l’elemento del dolo e quindi decade anche il reato.
Ma resta in piedi l’accusa di falso. Il procuratore  aggiunto Paolo Ielo e il pubblico ministero Francesco Dall’Olio le contestano la falsa dichiarazione inviata alla responsabile  Anticorruzione del Comune in cui attestata che la scelta di nominare Marra era stata solo sua. Insomma, per farla semplice. Il sindaco della Capitale d’Italia avrebbe mentito all’autorità anticorruzione. Ecco, per i grillini, a partire dal capo, si tratta di un episodio minore. A tal punto che Raggi si aspetta addirittura le scuse della stampa.

Quanto siamo poco anglosassoni. Alcuni eccessi che arrivano talvolta da oltreoceano fanno inorridire. Ma faccio notare che per molto meno sono saltate addirittura candidature alla presidenza degli Stati Uniti. Per una banale menzogna in una storia di corna ha rischiato addirittura l’impeachment un grande presidente come Bill Clinton. Loro non votano un politico che mente esplicitamente e viene scoperto. Come fidarsi? E dunque, se venisse condannata, come fidarsi di un sindaco che mente all’autorità anticorruzione per giustificare la nomina di un galantuomo come Marra?

Se fosse stato un politico di un altro partito, i grillini sarebbero già partiti con la lapidazione. Non alla richiesta di rinvio a giudizio, già dall’avviso di garanzia. Politici come Errani, Del Turco, Penati, gente eletta, votata dal popolo, si sono dimessi e hanno atteso pazientemente il processo. Poi sono stati assolti senza che nessuno gli chiedesse scusa. Loro no, i pentastellati sono diversi. Perché al M5s aderiscono soltanto persone oneste. Per definizione. Non è proprio possibile che un sindaco dei cinque stelle sia un delinquente. Non è previsto dalla loro religione. E dunque se vengono accusati è un complotto. Se la loro amministrazione fa acqua da tutte le parti è sabotaggio o è colpa di chi ha amministrato prima. Questa è la verità indiscutibile.

Gli adepti della setta non ammettono tentennamenti. Secondo il famoso principio uno vale uno, ma Grillo (Casaleggio) decide per tutti, l’unica sentenza che conta non è quella della magistratura ma quella di Grillo stesso. Basta guardare la loro presenza sui social. Compatti come una falange macedone. Tutti in linea. E che non si scomodino paragoni con il centralismo democratico del Pci. In quel partito si discuteva eccome. Una volta assunta una linea, poi, ci si atteneva a quella. Nel M5s no, non esiste discussione, ma solo catena di comando gerarchica. L’autonomia scende man mano fino ad arrivare alla base, ai militanti che sono semplici “megafoni” del vertice. Altro che democrazia e partecipazione.

Affermare questo e dire che a quel popolo bisogna comunque rivolgersi è una contraddizione? Assolutamente no. Anzi, una volta assunta come certezza la pericolosità di una setta che si fa partito politico per la democrazia, diventa un’urgenza assoluta quella del dialogo con gli elettori che, in buona fede, gli hanno dato fiducia. C’è un bel pezzo della sinistra in quei voti. C’è un bel pezzo del nostro popolo che abbiamo costretto noi a rivolgersi altrove e che è stato attratto dal messaggio di Grillo. Dalle critiche alla partitocrazia (come avrebbe detto Pannella), dalla lotta alla casta, dal messaggio contro le multinazionali e per la protezione dell’ambiente. Bisogna sfidare Grillo e i suoi proprio su quel terreno.

Certo, per farlo – e per oggi meglio che la finisco qui – bisognerebbe finirla di parlare di noi e fra noi e dare un messaggio concreto, tornare a parlare del lavoro che non c’è, della scuola, di una società nuova. Se proprio non siamo in grado di farlo, proviamo a copiare Corbyn. Basta google traduttore.

Il tormentone infinito della legge elettorale.
Il pippone del venerdì/25

Set 22, 2017 by     No Comments    Posted under: Il pippone del venerdì

Non rimaneteci male, ho deciso, intanto per una settimana ma chissà per quanto tempo: lasciamo la sinistra alle sue contorsioni e Pisapia ai suoi pigolii tentennanti. Forse se li ignoriamo i nostri (autonominati) dirigenti e leader si accorgeranno di quanto siano inutili, se non dannosi, per la causa che dicono di voler perseguire e si daranno una svegliata.

Vorrei, invece, in questo mio sproloquio settimanale, fare qualche rapida considerazione sulla legge elettorale e sull’ultimo cilindro tirato fuori dal capello del Pd. Capisco che di argomenti meno appassionanti ce ne sono pochi, ma mi pare un tema fondamentale per il futuro di tutti noi. E il fatto che si vorrebbe liquidare in poche settimane una partita così delicata ci dovrebbe far scattare subito in piedi. Non parlerò di inciucio, lo dico a beneficio dei grillini: le regole si fanno tutti insieme o almeno con una maggioranza più larga possibile, dunque parlare di inciucio è un vero e proprio ossimoro. Vorrei entrare più nel merito della proposta.

Intanto, diciamolo, viene da chiedersi chi siano i tecnici (chiamarli costituzionalisti o anche esperti di diritto pare un insulto a chi lo è davvero) che si inventano a rotta di collo sistemi elettorali da manicomio. Siamo almeno alla quinta proposta differente in pochi mesi che arriva da parte dei democratici e tutte hanno in comune due punti: per capirle ci vuole uno studio complicato e quando arrivi alla fine ti rendi conto che non sono sistemi elettorali pensati per garantire governo e rappresentanza, ma per far fuori il nemico di turno.

Il punto non è neanche tanto che con l’ultima trovata di Renzi e soci il numero dei nominati direttamente dai partiti arriva alla cifra record del 64 per cento, senza contare i collegi uninominali sicuri, altro rifugio tranquillo. Non è uno scandalo in sé, dicevo, perché se in questo paese ci fossero dei partiti, con una democrazia interna regolata da norme precise e uguali per tutti, verrebbe quasi naturale che fossero loro a selezionare la classe dirigente. E’ proprio questa, del resto, la funzione principale delle formazioni politiche. I partiti sono la democrazia che si organizza, come diceva Togliatti. E dunque nulla di strano. Peccato che ormai in Italia di partiti non ce ne siano più e dunque l’indicazione della classe dirigente spetterebbe nella sostanza a quattro leader. E visti i leader non c’è da stare allegri.

Ma a parte questo, sono altri gli aspetti inquietanti del cosiddetto “Rosatellum bis” (in altra sede ci sarebbe  da disquisire sugli improbabili nomi latineggianti che cercano di coprire imbrogli degni di un magliaro di basso livello). Provo a raccontarvi come funziona questa idea su cui ci sarebbe l’accordo di Pd, Lega, Forza Italia e cespugli vari. I due terzi dei parlamentari viene eletto su base proporzionale con liste bloccate, gli altri in collegi uninominali a turno unico, chi prende un voto in più entra in parlamento. Nella parte proporzionale ci sono le liste dei partiti (devono superare il 3 per cento per concorrere alla ripartizione dei seggi) che possono unirsi e presentare un comune candidato nel collegio uninominale. Lo sbarramento per le coalizioni è del 10 per cento, ma non è previsto un programma comune e neanche un leader, ciascuna lista ha il suo “capo”. Se una lista che fa parte di una coalizione non raggiunge il 3 per cento ma ha superato l’1, quei voti vengono spartiti fra gli alleati. Una norma strana, ma che potrebbe favorire la nascita di una serie di liste civetta in grado di spingere i candidati nell’uninominale. Il voto è unico: votando la lista nel proporzionale si attribuisce automaticamente la propria preferenza anche al candidato collegato nella parte uninominale. Se si vota solo il candidato all’uninominale, il voto va (in proporzione) anche alle liste collegate.

La prima cosa che balza agli occhi è che questa legge non garantisce minimamente la stabilità del governo, perché non aiuta a formare una maggioranza e neanche farà immediata chiarezza su chi ha vinto e chi formerà il governo. Anzi, è facile prevedere che da una legge così, visto il nostro attuale sistema, non nascerà alcun governo se non una “grande coalizione dei moderati”, a patto che ci siano i numeri. Sottolineo che questi due punti (stabilità e certezza sui vincitori) sono stati per anni il tormentone che ci ha propinato mattina e sera il segretario del Pd. Ora sono improvvisamente spariti dall’agenda politica.

Il secondo aspetto che vorrei mettere in evidenza è questa bufala delle coalizioni elettorali. Il fatto che solo in Italia esistano dovrebbe accendere un campanello d’allarme. Nel resto del mondo, infatti, i partiti che hanno un programma comune non fanno coalizioni, presentano la stessa lista. Se hanno programmi differenti, invece, presentano liste concorrenti. Dopo le elezioni, questo sì, quando nessun partito raggiunge la maggioranza si formano delle coalizioni per governare fra i soggetti politici più vicini. In pratica: ci si pesa, le idee di ciascuno vengono giudicate dagli elettori e poi, solo dopo il voto, proprio in base al peso elettorale che i programmi hanno avuto, si indirizza l’azione politica del governo. L’invenzione italica delle coalizioni, invece, fa sì che partiti differenti e quindi con programmi altrettanto differenti, facciano una mediazione preventiva senza pesarsi prima. Gli elettori vengono di fatto, privati di un loro diritto fondamentale: scegliere il partito più vicino al loro modo di pensare. Nel caso di quest’ultima pensata dei democratici, non c’è manco il programma comune e dunque non si capisce per quale motivo si dovrebbero presentare insieme.

Raccontata così, è evidente come questa legge debba avere altri scopi, di certo non quello di creare un sistema politico rappresentativo del paese. Del resto, se le ultime due leggi elettorali, approvate da schieramenti opposti, sono state bocciate dalla Corte costituzionale, una ragione ci deve pur essere. Il motivo, secondo me, è evidente: non si pensa a una legge per rafforzare il sistema politico (e quindi che garantisca rappresentanza e aiuti la formazione di maggioranze), ma a una legge che favorisca alcune forze politiche rispetto ad altre. Il porcellum fu studiato da Berlusconi e soci per dimezzare la prevedibile vittoria di Prodi nel 2006, l’Italicum, secondo Renzi gasato dal 42 per cento delle Europee, doveva garantire al Pd una maggioranza solitaria. Non a caso fra le raccomandazioni del Consiglio d’Europa c’è quella di non fare leggi elettorali nell’ultimo anno del mandato delle Camere, proprio per evitare norme confezionate in base ai sondaggi del momento.

Ora, io non sono né un esperto né tantomeno un tecnico, solo un appassionato. Ma Lo scopo mi pare evidente, in questo caso: in primo luogo rendere marginale la forza del Movimento 5 stelle, che per la sua stessa natura non è disposto a partecipare a coalizioni, in secondo luogo ostacolare la formazione di una forza di sinistra che vedrebbe i suoi consensi potenziali messi a rischio dal consueto appello al cosiddetto voto utile. Supposto che la maggioranza potenziale regga alla prova del Parlamento e questa legge passi, a me sembra che Renzi, ancora una volta, abbia fatto male i suoi conti. Perché una legge con queste caratteristiche gli garantirebbe sicuramente di poter fare e disfare a suo piacimento il Pd. Ma il vero favorito sarebbe Berlusconi, che ottiene due vantaggi insieme: si può coalizzare con la Lega di Salvini ma non deve scegliere un leader, può infarcire le liste dei fedelissimi. Senza contare che già da tempo sta pensando a una serie di listarelle parallele a quelle principali cosa che, come abbiamo visto, questa proposta tende a premiare. Insomma, se lo scopo è quello di tornare a Palazzo Chigi anche come capo di un governo di grande coalizione, lo strumento non sembra essere adatto.

Ultima notazione e poi vi libero dal pippone settimanale: il voto utile. E’ un concetto che proprio non capisco. Utile a chi? Io dovrei votare un partito che di cui non condivido molto per evitare che ne vinca un altro di cui condivido ancora meno. Che poi sentire Renzi che evoca il rischio del populismo è anche divertente. Torniamo seri: l’equivoco sta nel concepire il governo come fine unico di una formazione politica. Io credo che non sia così. Sono convinto che un partito debba rappresentare interessi, organizzare un blocco sociale si sarebbe detto una volta. Arrivare al governo è uno dei modi per farlo, ma non l’unico. Continuo a pensare, ad esempio, che abbia influito di più il Pci stando sempre all’opposizione che i partiti suoi (indegni) eredi che nelle loro ragioni costitutive hanno sempre avuto scritta una vera e propria ossessione per il governo. Ecco, fossi nella testa degli (autonominati) dirigenti della sinistra sparsa, mi porrei questo come compito da svolgere per l’autunno: studiare come si fa a incidere nel paese senza per forza doversi alleare con Alfano e soci. Buon lavoro.

Il nodo gordiano delle elezioni siciliane.
Il pippone del venerdì/24

Set 15, 2017 by     No Comments    Posted under: Il pippone del venerdì

 

Insomma il vertice degli autonominati dirigenti di Articolo Uno e Campo progressista c’è stato, hanno faticato a trovare un tavolo tanto grande così da poter permettere a tutti di sedersi, ma alla fine ce l’hanno fatta. Su una cosa si sono trovati tutti d’accordo: non si può rompere per non fare brutta figura. Tutto sta a capire come andare avanti. Cosa, a dire il vero, non proprio chiarissima. La sensazione è che la decisione vera sia quella di prendere tempo.

Ci sarà un grande momento di coinvolgimento popolare in autunno (leggasi dopo le elezioni siciliane del 5 novembre), si legge nel comunicato finale. Per fare cosa non è dato saperlo. Si eleggerà un leader? Si voterà un programma? Chi voterà? Sarà un appuntamento limitato solo agli aderenti di Articolo Uno (Campo progressista non esiste, è una finzione giornalistica) oppure si proverà ad allargarlo agli altri soggetti della sinistra italiana? Si sceglierà il nome? Su tutto questo dai partecipanti al vertice arrivano versioni contrastanti se non opposte.

Secondo punto di ambiguità. Il comunicato parla della “costruzione di un centrosinistra alternativo capace di battere le destre e i populismi e alternativo alle politiche sbagliate del Pd di Renzi”. E questo è il secondo punto di ambiguità. Alternativo al Pd non si può dire, ma almeno alternativo al Pd di Renzi si poteva osare? E invece no, alternativo “alle politiche sbagliate”. E ci mancherebbe altro. Ci siete usciti da quel partito, se manco si prova a criticarne la linea politica… altro che psichiatra. Non è una questione terminologica, ma di fondo. Io resto convinto che il Pd di Renzi sia diventato un partito fondamentalmente di destra, con forti connotati populisti che a tratti diventano addirittura razzisti. Per cui credo che una sinistra che ambisca a recuperare uno spazio importante nel panorama politico italiano non possa che definirsi alternativa. Ma la formulazione scelta va addirittura oltre, fino a spingersi a ipotizzare un’alleanza con Renzi stesso. Ora, sempre secondo me, Renzi è solo la conseguenza ultima dell’errore iniziale (fare il Pd appunto), ma anche a voler essere benevoli, almeno evitare di pensare ad alleanza con quel partito fin quando sarà guidato dal fiorentino si può scrivere? Evidentemente no. L’alleanza con il Pd diventa addirittura imprescindibile nell’interpretazione dei fedelissimi dell’ineffabile avvocato milanese.

Terzo punto di ambiguità. Il rapporto con il governo Gentiloni. Qua la divaricazione appare persino più netta. Da un lato la linea di D’Alema che dice da mesi che bisogna togliere la fiducia, dall’altra Pisapia e Tabacci che di rottura non ne vogliono proprio sentir parlare e parlano di “senso di responsabilità”. Espressione che dovrebbe quanto meno mettere in allarme anche Bersani che ha, diciamo, una certa esperienza di come si perdono le elezioni per eccesso di senso di responsabilità.

Sul rapporto con il governo Gentiloni, insomma, abbiamo raggiunto il massimo del politicismo incomprensibile, quello che allontana gli elettori sani di mente. In pratica: noi vorremmo costruire un centrosinistra alternativo alle politiche messe in campo in questi anni e poi votiamo un governo che di quelle politiche è l’erede e il prosecutore instancabile.

E non basta, facciamo di più: vogliamo “aprire un confronto, senza veti o pregiudizi, con tutti i soggetti politici e civici che condividono” la necessità di un’alternativa. Oggi, in una bella intervista sul Manifesto, il segretario di Sinistra italiana, Nicola Fratoianni, dice, in sintesi: carissimi, va bene tutto, non stiamo a discutere sui termini, centrosinistra, sinistra, parliamo di contenuti, ma almeno un voto per prendere le distanze da Gentiloni… un segnale datelo. Difficile dargli torto.

Anche perché in questi mesi, mediamente, i parlamentari di Articolo Uno hanno sempre votato la fiducia, tranne quelli che fanno riferimento a Pisapia che spesso hanno votato contro. Insomma, verrebbe da dire parafrasando un noto e volgarissimo detto romano, parlano di senso di responsabilità, ma con i voti degli altri.

Che poi, lo voglio dire chiaramente, io tutta questa santificazione dell’Ulivo e delle esperienza passate del centrosinistra mica la capisco. A leggere le dichiarazioni di molti sembra che quando c’era l’Ulivo nei fiumi scorresse latte e dagli alberi nascessero pomi di oro massiccio. Io continuo a pensare che in quel periodo abbiamo costruito i presupposti del deserto di oggi. Dal punto di vista sociale. Cedendo all’ideologia berlusconiana della società dell’immagine. Dal punto di vista del lavoro, costruendo le basi per l’attuale sistema precario. Dal punto di vista economico, rinunciando all’intervento pubblico e arrendendoci all’ideologia del libero mercato. Dal punto di vista politico, smantellando il partito di massa per arrivare al vuoto attuale. Ma anche prescindendo dagli aspetti concreti, da quello che davvero si è realizzato in quel periodo, è proprio questa l’unica strada percorribile per costruire una forza alternativa? Segnalo, anche ribadisco, che il risultato ultimo di quel processo è stata la distruzione di una cultura politica nel nostro paese. Quella dei comunisti italiani. Si vuole continuare su quella strada per eliminare anche il poco che resta?

Nel resto d’Europa, dove più o meno si sono fatti errori simili a partire dagli anni ’90 del secolo scorso, la sinistra ha preso atto della cantonata ed è tornata a fare la sinistra. Rinnovando i partiti tradizionali, come nel caso del Labour in Gran Bretagna, costruendo forme originali e radicalmente alternative come in Spagna, in Grecia o in Francia. Si è tornati a pronunciare la parola socialismo, la usa perfino Sanders negli Stati Uniti. Ma da noi resta una parola proibita.

Si è preferito, per farla breve, un comunicatino stitico per dire che tutto va bene e poi tornare a parlare lingue diverse. Basta leggere le interviste sui giornali. Alternativi al Pd, dice Bersani. Il centrosinistra si fa con il Pd, risponde Luigi Manconi che parla a nome di Campo progressista, ma resta saldamente nel Partito democratico e lo rivendica pure.

Il nodo vero sono le elezioni siciliane. Lì, alla prima prova sul campo, l’alleanza fra Orlando-Tabacci (i due luogotenenti di Pisapia nell’isola) e la sinistra non ha retto. La sinistra, unita, presenta la candidatura di Claudio Fava, Il duo di Campo progressista, malgrado ufficialmente non si schieri, avrà la sua lista a sostegno del candidato di Renzi e Alfano, che del resto è stato indicato dallo stesso sindaco di Palermo. Ora,non sto a cavillare sulle qualità di Fava, sul valore delle elezioni siciliane. Certo, prenderle come test nazionale, viste le specificità dell’isola, potrebbe quanto meno apparire azzardato. Ma al momento rappresentano il vero nodo sulla strada delle elezioni nazionali e degli schieramenti che si presenteranno ai blocchi di partenza. Per due ragioni: intanto è evidente che un risultato positivo di Fava aiuterebbe la creazione di un’alleanza di sinistra, magari anche un qualcosa di più che una semplice lista elettorale. Al tempo stesso, però, una netta sconfitta di Renzi e Alfano potrebbe dare fiato a quanti, nel Partito democratico, vedono nel fiorentino l’incarnazione della sconfitta permanente. Già adesso, a mezza bocca, non sono pochi i dirigenti democratici che evocano la possibilità di una figura meno divisiva come candidato premier. Queste voci diventeranno più forti e riapriranno la partita dopo il 5 novembre? Ho i miei dubbi, ma l’idea di una sconfitta a livello nazionale, nel Lazio e in Lombardia, potrebbe non essere digeribile a chi da sempre dà le carte fra i democratici, Franceschini in primo luogo. E Renzi avrebbe la forza di resistere?

Basta aspettare per capire. Per queste due ragioni, al di là delle schermaglie quotidiane, si muoverà poco nel prossimo mese e mezzo. Io credo, però, che sia sbagliato attendere inerti. Perché c’è il rischio che le elezioni politiche arrivino prima del previsto e perché credo sia un errore grave lasciare che a decidere il nostro futuro sia un appuntamento elettorale parziale, seppur importante. Noi, anche questo l’ho già scritto, abbiamo il dovere di mettere in campo un progetto per il futuro, non lontanissimo magari, ma neanche immediato. Un progetto che si deve confrontare con le urne, non c’è dubbio, ma che non può avere quello come unico traguardo. La sopravvivenza di un piccolo ceto politico non ci interessa.

Ci interessa che una cultura politica importante ritrovi la propria casa e il proprio spazio. Attendere inerti dunque? Io credo che i processi vadano aiutati, magari dal basso. Proviamoci. Proviamo in questo mese a fare dei passi in avanti, a costruire esperienze unitarie nei quartieri, nelle città, nei luoghi di lavoro. E anche in Parlamento con un’iniziativa comune. Sul lavoro. Articolo Uno è nato con questa funzione, quella di fare da cerniera. Nello schema attuale, al contrario, rischia di rimanere in mezzo fra Pisapia e il resto della sinistra. E chi sta in mezzo, si sa, prende schiaffi da una parte e dall’altra. Usciamo dalle ambiguità e andiamo avanti.

E mo basta.
Il pippone del venerdì/23

Set 8, 2017 by     No Comments    Posted under: Il pippone del venerdì

Ma insomma, possibile che, tornato da un meritato mese di vacanze, vi ritrovo al punto di prima? Pisapia che tentenna fra Renzi e la sinistra (è di queste ore una sua articolata intervista al Corriere nella quale non dice assolutamente nulla se non paventare un suo ritiro), la sinistra che tentenna fra Pisapia e se stessa. Se c’è Alfano non veniamo noi, ma se non c’è Alfano possiamo sederci a tavola. E se ci dai l’articolo 17 e mezzo votiamo la finanziaria. E perché non ci invitate alla Festa de L’Unità?

Ma che siamo all’asilo nido? Mi sembra di essere prigioniero di un incubo collettivo dal quale non ci si riesce a svegliare. Tutta pura tattica, politicismi bizantini che non interessano a nessuno. Provo a fare un rapido quadro, senza approfondire. Resto sulle generali, ma dopo un mese di assenza credo sia il modo migliore per riordinare le idee

Ma che il problema è Alfano adesso? Che senza Alfano si può costruire un’alleanza elettorale con il Pd di Renzi? E allora perché siete usciti dal medesimo Pd? Che senso hanno avuto questi mesi in cui abbiamo detto: “Dobbiamo costruire uno schieramento alternativo”? Il problema per me, lo dico da sempre, non è definirsi in contrapposizione. E’ dire chi siamo e cosa vogliamo. Dire cose di sinistra e su queste aprire un confronto. Si vada alle elezioni con una linea politica chiara, una lista unitaria e si offra un impegno agli elettori e ai militanti: il giorno dopo il voto proseguiremo insieme.

Si sarebbe già dovuto fare. Era così difficile, per gente di provata esperienza come Bersani, Speranza, Epifani, Errani, capire che, seppur in vista di un progetto più ampio, Articolo Uno doveva da subito strutturarsi nei territori? Legittimare il suo gruppo dirigente con un rapidissimo appuntamento di natura congressuale, approvare una linea politica chiara e condivisa, e andare avanti con quella. E invece si continua con le riunioni dei gruppi parlamentari (nominati e non eletti) che si sono auto attribuiti la qualifica di dirigenti. Di loro stessi, forse.

Si continua con gli incontri al vertice fra Speranza, uno dei soci costituenti di Articolo Uno, e Pisapia, un altro che si è autoproclamato leader, lanciato da 270 presunte officine per il programma. Tutta roba di ceto politico, che non attrae nessuno. L’Hanno capito D’Alema e Rossi che da mesi si sgolano in giro per l’Italia a parlare dei partecipazione, di idee, di un percorso democratico per definire i leader e i candidati. Nulla di tutto questo è avvenuto. Ora si parla di un’assemblea costituente della sinistra, ma dopo le elezioni siciliane. Si parla di un nuovo vertice fra Pisapia e Articolo Uno che si dovrebbe tenere martedì 12 settembre. Sarà risolutivo dicono. E invece, ci scommetto, se ne uscirà con l’ennesima dichiarazione di buoni propositi.

E, intanto, fuori dai palazzi, che succede? Dal mio piccolo osservatorio personale noto un grande senso di scoramento. Le tante energie che si erano rivitalizzate rischiano di essere disperse, le tante persone che guardavano a noi con interesse tornano a essere distaccate. I sondaggi non possono che essere lo specchio di questa situazione. C’è bisogno di sinistra proprio quando manca la sinistra.

E’ il primo pippone dopo la pausa estiva, non la voglio neanche fare troppo lunga. Ma è impellente un cambio di rotta. Provo a dire qualche punto essenziale, secondo me.

  • Dire chiaramente che si vuole costruire una forza di sinistra alternativa al Pd di Renzi. Dico forza di sinistra e non di centrosinistra, perché considero questo equivoco la tara che ha minato da sempre i democratici. Un partito deve essere di sinistra, di destra, di centro. Ci si può alleare, ma unire culture politiche differenti e distanti porta ad accrocchi indigeribili.
  • Capire chi ci sta, senza pregiudiziali. Chiudersi in una stanza e dettare un percorso costituente rapido e dal basso: comitati locali, assemblee regionali, una grande assemblea costituente prima dell’inverno.
  • Elaborare un comune Manifesto dei valori. Ci serve questo più che un programma dettagliato che poi non legge nessuno. Quali sono le nostre idee forza sulle quali vogliamo puntare? Diciamole chiaramente, senza tentennamenti, senza metafore. La comunicazione deve essere decisa.
  • Abolire la parola governo dai nostri ragionamenti. Il governo è un mezzo, non il fine. Faccio umilmente presente che ha inciso di più il Pci dall’opposizione che la sinistra nei vari governi a cui ha partecipato. Quello che ci si deve porre come obiettivo è il cambiamento in senso socialista della nostra società, non mettere una pezza alle politiche liberiste.

Ovviamente le cose da fare sono molte di più, ho solo sintetizzato, in maniera grezza le emergenze che la quasi defunta sinistra italiana ha di fronte a sé. Si parla di giorni come scadenza temporale per partire davvero, non di mesi.

La Sicilia, da questo punto di vista, mostra qualche sussulto. Malgrado incomprensioni e personalismi che restano sullo sfondo, tutti i movimenti della sinistra si riconoscono nella candidatura di Claudio Fava. Un nome importante in quelle terne, per quello che ha rappresentato, per il suo impegno in prima persona. Si è usciti dallo schema proposto da Leoluca Orlando, proconsole di Pisapia nell’isola insieme a Tabacci. Si è affermata a voce alta l’esigenza di una coalizione alternativa a quella proposta dal Pd. Per fortuna, a toglierci dagli impicci, ha pensato come al solito Renzi che ha concluso un accordo con Alfano e ci ha dato la scusa per levare le tende.

E ora? Si alzano le sirene del voto utile? Si chiama a raccolta contro le destre? E che appello è se un pezzo della destra è già alleato con voi? La partita del governo siciliano, va detto chiaramente, è una partita a due. Se la giocano Berlusconi e Grillo. Mischiarsi in un’accozzaglia (questa sì, lo è davvero) insieme a pezzi del sistema di potere siciliano (con tutto quello che comporta), a pezzi della destra e al Pd di Renzi avrebbe contribuito a far restare a casa i nostri elettori. Vedremo se quest’alleanza, seppur tardiva, basterà a riportarli alle urne. Forse non tutti, ma dobbiamo essere fiduciosi e portare nell’assemblea regionale siciliana un punto di vista davvero alternativo e radicale.

Non che si tratti di un test con valore nazionale, ma un risultato positivo, che testimoni quanto meno l’esistenza di un’area di sinistra, sarebbe anche una spinta forte all’unità a livello nazionale. E se Pisapia non ci sta? Se attua la sua minaccia e se ne torna al suo studio di avvocato? Non ci strapperemo di certo le vesti. Avanti, non è più l’ora dei rinvii.

Le ferie sono finite.

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