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Serve una nuova Resistenza, civile e politica.
Il pippone del venerdì/66

Lug 27, 2018 by     No Comments    Posted under: Il pippone del venerdì

Sono passati quasi 5 mesi dalle elezioni del 4 marzo. Abbiamo fatto decine di riunioni per cercare di capire cosa è successo, come ripartire. Assemblee, convegni, seminari, congressi. Poco più che sedute di autocoscienza che hanno messo a dura prova la pazienza di tutti noi. Di provare a fare opposizione, di costruire una visibile alternativa non se ne parla. Eppure, mi sbaglierò, ma io credo che malgrado tutto ci sia una parte di questo Paese, non so quanto grande, che attende con ansia che si manifesti una qualche forma di resistenza a questo governo.

Successe anche nel 1994. Si votò il 27 e 28 marzo e fu una sberla forse ancora più forte quella che abbiamo preso adesso. Perché allora speravamo di vincere, abbagliati dalla “gioiosa macchina da guerra” messa in campo da Achille Occhetto, uno dei nomi da segnare in alto nella lista dei grandi guastatori della sinistra italiana. Speravamo di vincere e ci ritrovammo con i fascisti di Alleanza nazionale al governo, il famoso 61 a zero per Berlusconi in Sicilia. Nel ’94 però i tempi di reazione sono stati rapidi. Giorni, poche settimane. Fu “il Manifesto” a lanciare la palla con un appello. Si potrebbe fare una grande manifestazione, si potrebbe fare a Milano, il 25 aprile. Cominciava più o meno così, se ben ricordo.  Ora, magari i puristi del politicamente corretto storceranno un po’ la bocca, perché il 25 aprile non è di parte. Ma all’epoca sembrò una grande idea, del resto avevamo i fascisti al governo e l’acqua di Fiuggi con la quale Gianfranco Fini aveva provato a bonificare il Msi non convinceva più di tanto. La fiamma missina ardeva alla base del simbolo di An, a ricordare da quale storia venissero. Quale data migliore dunque?

E allora partimmo in tanti. Treni, pullman, auto private. A Milano trovammo una pioggia ininterrotta che ci entrò nelle ossa. Non smise un attimo. Praticamente al ritorno pareva un treno di migranti dei primi del ‘900, con i panni stesi ad asciugare nei vagoni. Eppure avevamo tutti un gran sorriso in faccia. E non si dica che allora i partiti esistevano, non erano ancora ridotti agli attuali collettori di consenso. Non c’erano i partiti. C’eravamo noi. E da quella manifestazione, da quelle centinaia di migliaia di persone che invasero Milano arrivo la scossa che serviva. Si ripartì, si ricostruì un progetto alternativo a quello di Berlusconi che pochi giorno dopo sarebbe diventato presidente del Consiglio.

Certo, era un’Italia diversa, c’era ancora tanta “società”, i corpi intermedi, i sindacati non erano ancora stati svuotati dal lavoro precario, non c’erano i social, perfino i telefoni cellulari erano ancora un prodotto di nicchia. Si usavano solo per alcuni lavori. Perfino “il Manifesto”, giornale comunque d’élite, era più forte, aveva più radici nella società. Però io penso che anche adesso servirebbe una risposta simile. Una grande manifestazione popolare che metta insieme e dia respiro alle tante esperienze di resistenza civile che, con grande fatica, si sono comunque manifestate in questi mesi. E credo che un appuntamento del genere aiuterebbe anche il lavoro di ricostruzione di un partito della sinistra e di una alleanza di governo. Un partito che non può nascere dalla semplice somma di qualche esanime gruppo dirigente che cerca una via di salvezza per se stesso. E un’alleanza che non può essere la semplice somma di tante debolezze.

Serve una nuova Resistenza, lo dico con la dovuta enfasi, ma senza retorica. Perché siamo di fronte a un governo che se ne frega della Costituzione, delle regole elementari di civiltà come il soccorso in mare e punta soltanto a soddisfare la pancia del Paese creando nuove divisioni e scaricando le frustrazioni dell’Italia che non arriva a fine mese sui disperati della terra.

Serve una nuova Resistenza, e serve subito, uscendo dalla dimensione meramente civica che hanno assunto le proteste di questi mesi, dalle maglie rosse di Don Ciotti alla lotta ostinata di Saviano. Serve una dimensione politica e questa non può che nascere dalla piazza, da una grande manifestazione piena di tutti quei colori che il triste Salvini vorrebbe ridurre al grigio. Una giornata che non solo ci regali qualche sorriso in un periodo in cui di motivi per sorridere ne abbiamo pochi, ma rappresenti un punto di riferimento, dia coraggio a tutti quelli che non sono d’accordo, ma si sentono soli.

E guardate che anche questo conta. Dobbiamo far capire alla “maggioranza silenziosa” che non c’è solo Salvini in questo Paese, che c’è ancora chi non si arrende. Magari, poi, si prova a dare anche un segnale al Pd che in molti a sinistra vedono come alleato già oggi, ma continua a votare provvedimenti indecenti come le motovedette regalate ai signori della guerra libici. Invece di fare alleanza asfittiche, che sono forti solo nella testa di chi le concepisce, proviamo a ripartire dalle questioni concrete. Alleiamoci su una grande battaglia in difesa dei valori della Costituzione. A meno che per ribellarci non vogliamo aspettare che la Casaleggio e associati chiuda il Parlamento e lo sostituisca con una chat.
Ora vista l’inutilità dei partiti esistenti, anzi il danno quotidiano che provocano, io credo che debbano essere gli intellettuali, le personalità che in queste settimane hanno dato segni di esistenza in vita, a lanciare un appello. Una cosa semplice del tipo: ci vediamo il 15 settembre, a Roma.

Magari a San Giovanni, che porta bene.

Caro Minniti, contro i fascisti la piazza serve.
Il pippone del venerdì/43

Feb 9, 2018 by     No Comments    Posted under: Il pippone del venerdì

Scrivevo alcuni mesi fa, era un pippone di ottobre, che c’era in Italia un’ondina nera che cresceva. Si sentiva nei nostri quartieri, si percepiva che un misto di indifferenza e qualunquismo stava diventando sempre più forte in Italia. Un vero e proprio brodo di cultura per i nuovi fascisti. I fatti di Macerata sono un altro campanello di allarme, l’ennesimo. I risultati elettorali di Casapound, i cortei con migliaia di ragazzi che sfilano in maniera militare e si concludono con orge di braccia romanamente tese. I comportamenti razzisti a cui assistiamo in pratica ogni giorno e non abbiamo il coraggio di reagire. Tutti anelli di una catena inquietante.

Ed è grave, inutile che ci giriamo intorno, che un sindaco inviti le forze democratiche a non manifestare nella sua città, una città che dovrebbe essere ferita e reagire in maniera democratica. E’ grave che il ministro dell’Interno affermi su un quotidiano che “se il questore non vieta le manifestazioni ci penserà il ministero”. Come è grave, al tempo stesso, che tutti sappiamo come si chiama il fascista che ha sparato, ma nessuno di noi sa come si chiamano i feriti. Nessuno che sui social si sia inventato una foto profilo con un “siamo tutti…” Sono semplicemente “gli immigrati a cui Traini ha sparato”. Ed è grave che, anche a sinistra, solo dopo giorni qualcuno abbia pensato di andarli a trovare in ospedale. Non parlo delle alte cariche dello Stato, ma dei leader della sinistra. Anche chi è lontano dal becero razzismo della Lega e dei fascisti ha accettato di considerare gli immigrati come una categoria sociale. Non sono persone con facce, storie, drammi. Non uomini e donne, ma immigrati. E in quanto tali sono soltanto un problema: sporcano, infettano, violentano. Senza distinzione. Per cui anche un gesto di umana solidarietà diventa faticoso, non ci viene automatico.

Per questo credo che sabato, a Macerata, ci debba essere una prima importante risposta. Io mi auguro che Anpi, Arci e Cgil ci ripensino. Mi auguro che tutte le forze democratiche ci ripensino e siano alla manifestazione. E non basta dire “stiamo organizzando un corteo per fine febbraio a Roma”. Ci vogliono tutte e due queste piazze. Serve una risposta immediata, nelle stesse strade dove si è consumato un gesto che non è folle, ma è più drammaticamente un atto di terrorismo fascista. E’ perfino paradossale, se ci pensate bene: nel nostro Paese il primo atto terroristico, in questi anni di attacchi dell’Isis in tutto il mondo, arriva da un italiano e colpisce gli immigrati.

Serve la piazza di Macerata, caro Minniti.  Intanto per un motivo banale, perché non possiamo lasciarla ai fascisti, che ci saranno come hanno già fatto in questi giorni. Non lasciamogli più un millimetro delle nostre strade perché poi riprendersele è difficile. Ma serve soprattutto per dare un segnale a noi stessi. A quelli che si ritengono antifascisti e antirazzisti, ma non sentono più il bisogno di manifestarlo nei comportamenti concreti di ogni giorno.

Serve la piazza di Macerata, caro Minniti. Serve per dare un segnale di riscossa culturale. Serve dire: abbiamo capito, ora basta. Ora basta con i silenzi, basta con le timidezze. Siamo ancora la sinistra che i fascismi li ha affrontati e vinti. Tante volte. Siamo ancora il Paese solidale, dove l’accoglienza è la regola non l’eccezione. Siamo ancora il Paese che non solo è tollerante verso gli altri popoli, ma considera le diversità una ricchezza. Non è una questioni di sondaggi elettorali, di perdere o guadagnare qualche decimo di percentuale. E’ una questione essenziale per capire dove questo Paese.

E’ una questione culturale. Lo scrivo spesso, ma vale la pena ribadirlo ancora di più in questa occasione. Noi, la sinistra, non abbiamo perso soltanto qualche competizione elettorale, abbiamo perso l’egemonia culturale. Abbiamo perso le nostre antenne nella società, l’arretramento del nostro fronte è un fenomeno complessivo. Quando diamo la colpa a Renzi commettiamo un errore marchiano. Renzi è il prodotto della nostra crisi, non la causa. Lo spostamento a destra a cui assistiamo non è un fenomeno elettorale. Quello è solo il prodotto ultimo di una deriva profonda che ha cambiato i nostri cervelli la nostra percezione della realtà. Per questo serve una sinistra che rimetta radici non solo in Parlamento.

Spesso e volentieri, nei momenti più cupi, in cui ci troviamo con qualche compagno a riflettere sulle disgrazie italiche, arriviamo a una domanda che ci blocca: “Ma se noi, che siamo compagni di base, quelli che una volta si sarebbero chiamati quadri, arriviamo a comprendere l’urgenza di ritrovare le nostre radici, di aprire sedi, di tornare a essere una forza popolare e non salottiera, perché i nostri dirigenti non si pongono questo problema? Perché loro che dovrebbero avere strumenti di analisi più raffinati dei nostri non hanno avvertito per tempo questa deriva che ora rischia di travolgerci?” Non sappiamo darci una risposta precisa. Insufficienza della classe dirigente italiana nel suo complesso, personalismi. Farfugliamo, ma non arriviamo a una soluzione.

Ora, però, non è il momento delle analisi. E anche questo pippone oggi lo finisco qui. Non è il momento delle domande, perché ormai siamo oltre l’emergenza democratica. Ecco, ripartire da una manifestazione, da un grande evento popolare. Che riempia di nuovo di significato questa parola, sinistra, che fra un po’ ci ricorderemo davvero in pochi. A testa alta. Altrimenti anche riportare in Parlamento una robusta pattuglia di parlamentari non servirà a molto. Diciamolo forte, ora: abbiamo capito, ai fascisti non daremo tregua. Non arretriamo neanche un metro. Ieri come oggi. Prima che sia tardi.

…Ed il nemico attuale, è sempre ancora eguale, a quel che combattemmo sui nostri monti in Spagna…

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