Caro Renzi questa volta ti scrivo io…
Lettera dal segretario di un circolo di periferia
Caro signor Renzi, segretario del Pd nonché presidente del Consiglio e chissà cos’altro, chi le scrive è un segretario di un piccolo circolo del Pd della periferia di Roma, il circolo Capannelle. Nel 2014 dei 69 iscritti dell’anno precedente siamo rimasti in 42,. Tessere gonfiate nel 2013? Neanche per niente. In gran parte si tratta di persone deluse dal suo governo, anzi le dirò di più, proprio da alcuni dei punti che lei cita nella sua sconcertante lettera.
Sconcertante per due ragioni, la prima di merito. E’ zeppa di falsità. Si parla del jobs act come del provvedimento che sta garantendo diritti a centinaia di migliaia di giovani, quando quel provvidemento i diritti li toglie. I nuovi contratti a tutele crescenti firmati non sono dovuti all’eliminazione dell’articolo 18, ma al fatto che chi assume con quella forma non dovrà pagare contributi per tre anni, fanno 24mila euro risparmiati, secondo gli economisti. Che poi qualcuno mi dovrebbe spiegare quali sono queste tutele che crescono. Quando quel tipo di contratto fu ipotizzato, infatti – penso alle tesi di Ichino – si ipotizzava che nei primi anni di assunzione fossero sospesi alcuni diritti, alcune forme di tutela, come appunto il diritto al reintegro nel caso di licenziamento senza giustificato motivo. Adesso no e quindi non si capisce bene quali tutele crescano. Verrebbe da dire: “Lo sapremo fra tre anni”. Già, ma resta l’interrogativo: non è che fra tre anni, finita la decontribuzione, l’onesto imprenditore italico licenzia il lavoratore e fa ripartire la giostra con un nuovo contratto?
Per quanto riguarda, invece, la scuola, siamo davvero alle comiche. Il provvedimento da lei voluto non è stato preceduto per niente da quel lungo processo di partecipazione a cui fa riferimento, ma da una consultazione farsa che ha coinvolto pochi intimi. Altrimenti non si capirebbe come mai contro la cosiddetta riforma della scuola si sia creato uno schieramento di un’ampiezza mai vista, che va, in pratica, dai naziskin alle brigate rosse. Non sono un esperto di scuola e di formazione, m a ci sono alcuni aspetti che risultano evidenti. Lei dice che con la sua riforma viene introdotta l’autonomia scolastica. A me risulta che siano state le (troppe e troppo ravvicinate) riforme precedenti a introdurla e rafforzarla. Di questo provvedimento saltano agli occhi altre cose: vengono marginalizzati gli organismi collegiali introdotti nella scuola negli anni ’70 del secolo scorso, si dà potere totale al preside che diventa un dominus assoluto. Gli manca lo jus primae noctis, ma magari con un emendamento… Ma soprattutto si porta a compimento quel devastante processo di trasformazione della scuola della conoscenza in scuola della competenza che tanto caro era a Berlusconi. Devastante perché chi ha la conoscenza è in grado di acquisire man mano le competenze che il mondo del lavoro gli richiederà, mentre chi ha solo competenze specifiche a quelle sarà sempre limitato. La progressiva marginalizzazione delle materie umanistiche a questo porta.
Gli studenti che usciranno da questa scuola saranno meno cittadini, avranno menti meno aperte. In tutto il mondo gli studenti italiani sono sempre stati apprezzati per il alto livello di preparazione e per la loro agilità mentale. In tutto il mondo meno che in Italia, a quanto pare.
L’altro aspetto inquietante è quella forma di ricatto strisciante che è presente nella legge: approvatela in fretta perché permetterà di stabilizzare decine di migliaia di precari. Ora, a parte il fatto che ci si dimentica – e non si capisce bene per quale motivo – di alcune migliaia di professori che avevano vinto i concorsi e che vengono cancellati, non si poteva fare un provvedimento ad hoc, slegando le assunzioni dalla riforma vera e propria?
Cambiare radicalmente il nostro sistema scolastico non può essere fatto in fretta e furia, con i tempi contingentati perché bisogna assumere i prof in maniera da poter fare partire regolarmente il nuovo anno scolastico. Per esempio a me sarebbe piaciuto discutere di come si rafforza la collegialità di un istituto, non di come si cancella. Di come si rinnovano quelle forme di partecipazione alle decisioni che hanno anche un profondo significato formativo. Già, mi sarebbe piaciuto avere una sede e un partito per discutere di questi temi.
Le balle continuano, nella sua sconcertante lettera, quando parla della riforma elettorale. Si perché lei definisce la legge in discussione alla Camera, come la proposta del Pd: approvata dagli elettori con le primarie e poi modificata secondo i desideri della minoranza del Pd. Ora, a parte che le due affermazioni sono in evidente contraddizione: se la proposta è stata modificata non è detto che gli elettori la approvino ancora, ma l’affermazione alla base del suo ragionamento è destituita di ogni fondamento. Alle primarie lei, infatti, non presentò alcun disegno di legge, ma tratteggiò soltanto per grandi linee il modello elettorale che avrebbe voluto. Fece riferimento al concetto di “Sindaco d’Italia”, al fatto che serviva una legge che garantisse un vincitore “subito dopo la chiusura delle urne” e poco più. Le sarà facile comprendere come ci sia una pluralità di soluzioni differenti per raggiungere questo risultato. La legge da lei proposta io come segretario di circolo non ho mai avuto modo di discuterla. A nessun livello.
Poi c’è questa sgradevole chiamata alle armi contro i supposti traditori della minoranza Pd, quelli che vorrebbero sfasciare la ditta, non come, si legge nella lettera, fece lei che sostenne lealmente il Pd dopo aver perso le primarie.
Ora, signor Renzi, io ho scarsissima stima nei suoi confronti, quasi nulla. Come mai? Perché a me chi cerca di gettare fumo negli occhi del suo interlocutore usando tecniche da televendita non è mai piaciuto. Si figuri se mi può piacere un segretario del mio partito con queste caratteristiche. La comunicazione è solo fumo senza i contenuti. Quel fumo prima o poi si dirada e rivela il nulla.
La mia stima nei suoi confronti precipitò da quando pretese di cambiare lo statuto per fare le primarie contro Bersani che era già il nostro candidato a presidente del Consiglio, eletto proprio con le primarie. La mia stima nei suoi confronti arrivò a zero quando si ribellò contro l’albo degli elettori, chiedendo che ci si potesse registrare fino all’ultimo minuto (e così fu). La mia stima nei suoi confronti arrivò ai numeri negativi quando sempre lei chiese che ci si potesse iscrivere anche fra il primo turno e il ballottaggio. Che sarebbe un po’ come se una squadra di calcio, in svantaggio nel primo tempo, chiedesse di giocare il secondo tempo in 15. E quando le fu risposto di no, lei che dice che vanno rispettate le regole se si vuole stare nello stesso partito, fece un sito internet nel quale si truffavano gli elettori, illudendoli che per votare bastasse iscriversi al medesimo sito. Ora i suoi fedeli parlano della necessità di regolamentare le primarie, istituendo un albo degli elettori al quale ci si deve iscrivere ben prima del voto. Le stesse regole che gli stessi suoi fedeli giudicavano degne del Pcus quando si pensava che fossero un elemento che non giocava a suo vantaggio. Vede è questa concezione che ci divide: per lei è giusto solo quello che le garantisce più potere. Ma una legge elettorale non deve essere fatta a vantaggio di una parte sull’altra, non deve garantire il potere a qualcuno, deve garantire tutti i cittadini, tutte le parti in gioco. E deve garantire soprattutto il diritto di una minoranza di controllare l’operato del governo e di poter in futuro diventare maggioranza. Nella nostra Costituzione sono presenti una serie di pesi e contrappesi, che proprio questo scopo hanno: quello di non dare troppo potere a un singolo soggetto. Un sistema che viene scardinato nei suoi capisaldi se leggiamo i risultati che si otterrebbero combinando la legge elettorale alla riforma costituzionale in discussione al Senato.
Si potrebbe continuare nel merito. Si potrebbe parlare a lungo, ad esempio dell’aberrazione giuridica che abbiamo pervicacemente voluto: invece di garantire un procedimento penale rapido si allungano i tempi della prescrizione. Con il risultato che chi è colpevole riuscirà a tirarla ancora più alle lunghe, mentre chi è innocente dovrà aspettare ancora più a lungo per riuscire a dimostrarlo.
Potrei continuare, dicevo, ma mi fermo qui. Perché per me, oltre ai motivi di merito, ce n’è uno di metodo che è dirimente. Io mi sono francamente rotto tutto quello che è possibile rompere: non è possibile stare in un partito dove gli iscritti non decidono mai nulla, neanche sulle questioni fondamentali come una riforma costituzionale. Perché mica è vero che le riforme siano essenziali per migliorare il nostro Paese. Possono esserlo se vanno nella direzione giusta. Ma possono anche affossarlo definitivamente. Non voglio consegnare a mio figlio un paese meno democratico, con meno spazi di partecipazione, con meno diritti per i lavoratori. Non parli quindi a nome mio, perché a me, come a tutti gli iscritti al Pd non ha dato modo di esprimersi. Invece di una lettera nella quale si invita a prendere le armi contro chi – a parer suo – vuole confinarci nella palude, avrebbe dovuto chiedere ai circoli di avviare una grande campagna di ascolto e di confronto nella società. Con gli studenti e i professori, con quei sindacati che lei, come del resto alcuni suoi poco illustri predecessori a Palazzo Chigi, detesta. Perché un partito non è una semplice cinghia di trasmissione della volontà del capo assoluto. E non è neanche un luogo dove una maggioranza decide e gli altri eseguono. Un partito è una comunità in cui si discute, ci si confronta e ci si convince anche di ragioni diverse dalle nostre. Ma soprattutto un partito è vivo se è un luogo aperto alla società, se ha le sue antenne ovunque. Lei, evidentemente, di queste antenne non ritiene di aver bisogno: altrimenti si sarebbe accorto che tanti dei provvedimenti che cita nella lettera al nostro elettorato non vanno proprio giù. Lei non se ne cura. Altrimenti si preoccuperebbe non tanto e non solo delle percentuali dei voti al Pd, ma anche del numero di voti, rimasto sostanzialmente invariato. So preoccuperebbe della partecipazione che crolla, del clima di crescente sfiducia dei cittadini.
Su questi e altri punti mi piacerebbe avere occasione di discutere. E invece no. Ci si chiede un appoggio alla cieca, sulla fiducia. Non è questo il partito che abbiamo provato a costruire. Qua ci scrivono tutti, ci scrive il commissario che ha inviato per smantellare quel poco che restava della federazione romana, ci scrive lei. Mai nessuno che provi a consultarci, a chiederci cosa ne pensiamo, invece di chiamarci alle armi. Ma quello che lei vuole non è un partito, non è una comunità. Lei non vuole rappresentare gli iscritti, come dovrebbe fare un dirigente, lei ha bisogno di altro, di una mera cassa di risonanza per le sue decisioni. Non ci sto. E con me tanti altri che non hanno rinnovato la tessera nel 2014 e non la rinnoveranno nel 2015.
Se trova un paio di ore, signor Renzi, il nostro circolo è sempre disponibile per una discussione franca, come si fa in una comunità politica. Altrimenti alle armi ci vada da solo, si accontenti dei suoi fedeli, non avrà le persone libere come me e tanti altri.
Michele Cardulli
Segretario Circolo Pd Capannelle – Roma
Cari 101 piccoli infami.
Lettera aperta ai franchi tiratori
Cari 101 piccoli infami, la razza di chi ti dice una cosa in faccia e poi ti pugnala alle spalle mi ha sempre dato fastidio. Ma poi ho imparato a riconoscervi da lontano. Siete di due specie differenti. La prima è fatta da quelli che sono i tuoi più grandi amici, quando ti incontrano sono i primi a venirti incontro,baci abbracci e sorrisi.
La seconda è fatta da quelli che non hanno ancora abbastanza pelo sullo stomaco ed evitano lo sguardo. In tutti e due casi siete persone piccole. Che di mestiere facciate il segretario di una sezione di periferia o i parlamentari, non importa. Non è la carica a qualificare la levatura morale di una persona.
Vedete, cari piccoli infami, io sono di quelli che le cose le dicono sempre in faccia. Che magari a volte esagerano. E che sanno chiedere scusa quando sbagliano. Sempre fieramente perché, mi diceva mia nonna, l’unico che non sbaglia mai è quello che non fa niente.
Insultiamoci, accapigliamoci, prendiamoci pure a parolacce, ma sempre in faccia mai alle spalle.
Voi, invece, siete quelli che inneggiate all’unità del partito, che fate la faccia schifata quando qualcuno dice la verità, magari brutalmente: “Non sono cose da dirsi, perché fanno male al partito”.
E invece, cari piccoli infami, al partito fanno male le vostre ineffabili facce di bronzo. Fanno male i vostri culi che –su questo ci metterei la mano sul fuoco – non s sposteranno mai da quelle poltrone. Perché non voi non esponete mai il petto di fronte all’avversario, tutt’altro. Ci mandate il vostro vicino di banco a combattere. Lo spronate, gli dite vai. E voi sempre imboscati. Non intervenite nelle assemblee, ci mancherebsebe altro. Non dite mai: caro compagno hai detto una cavolata. No, voi vi tirate di gomito con il vicino, con la mano davanti alla bocca per nascondere il vostro sorriso divertito.
Se siete persone, se volete dirvi degni di appartenere a una comunità politica, fatevi avanti per una volta e dite: “Sì non ho votato Prodi, mi dispiace ma non ero d’accordo”. Oddio, se lo aveste fatto stamani, magari avremmo evitato l’ennesima figura di merda, ma va bene lo stesso. Fate outing. Fateci capire perché avete messo l’ennesima pietra su un partito che soltanto nel 2008 era la grande speranza degli italiani.
Voi siete gli stessi che mentre votavano compatti per Veltroni alle primarie già cominciavano a preparare gli agguati. Siete quelli che hanno fatto cadere il governo Prodi.
Ora Bersani avrà anche fatto errori molto gravi. Ma perché non vi siete alzati in direzione nazionale? No, ma ti pare che fate vedere le vostre facce da becchino dell’800? No, mentre votavate sì, già pensavate: ”Tanto un mesetto e lo cuociamo”.
Adesso basta, cari piccoli infami. Non vi meritate la nostra passione. Le notti passate a discutere, le mattinate al freddo nelle cento campagne elettorali che abbiamo fatto. Non vi meritate manco i due spesi per votarvi alle primarie, figuriamoci le alzatacce all’alba per permettere a tutti di votarvi. Fatevi vedere. E, una buona volta, andatevene. Perché non ne possiamo più.
Ora per vincere serve il Pd. In campo per davvero
Finita la giostra delle primarie, bisogna dire che mediamente gli elettori del centrosinistra sono migliori di noi. Il quadro dei candidati in campo, dal Comune ai Municipi mi sembra complessivamente credibile, rinnovato, con alcune punte di eccellenza. Poi non tutto va come uno vorrebbe, ma la perfezione si sa…
Parto dal candidato Sindaco. Ripeto quanto ho detto in tutta la campagna per le primarie e provo ad andare oltre. Secondo me Marino da solo non basta per vincere Roma. Sicuramente ha il merito di averci evitato Sassoli – e non è poco – ma da oggi gli avversari si chiamano Berlusconi e Grillo. Sperando che il livello nazionale non ci sommerga, avremo i due leader schierati a Roma per un mese.
Sicuramente Marino è un candidato che ci garantisce su un fronte importante: moralità e trasparenza. Quell’aria da bravo ragazzo, la sua pacatezza nel rispondere, il modo di sorridere, sono gli elementi che ne fanno un candidato che buca nell’opinione pubblica. In primarie tutte concentrate sui municipi (una sorta di guardarsi l’ombelico e pensare che sia l’universo) c’è stato meno voto organizzato sul livello comunale. Il leit-motiv era: vota tizio per il municipio, per il Comune fai quello che credi. E se si confrontano seggio per seggio i risultati dei candidati municipali “sassolini” con il risultato al Comune di Marino, il tema è evidente. Marino capovolge i rapporti di forza delineati nei municipi.
La sua storia, il suo modo di fare politica, un po’ da esterno senza mai però alzare troppo i toni, ne fanno un candidato credibile per l’elettorato di centro sinistra. Si può ipotizzare un recupero di quel voto che alle politiche è andato a Grillo ma che, a distanza di pochi secondi, si era già indirizzato su Zingaretti.
Si dice: vabbeh ma Roma è la capitale del cattolicesimo. Faccio notare che alle Regionali del 2010 Emma Bonino, ovvero una sorta di Satana in gonnella, a Roma portò via il 54 per cento dei voti. Quindi non mi sembra questo il tema vero.
Il dato delle primarie ci dice Marino sfonda nelle periferie, proprio lì dove Grillo alle politiche è stato primo partito ovunque. E sfonda in quelle periferie che spesso sono state accusate di essere la patria del voto di scambio. Devo dire, è solo un inciso, che a me sono sembrate primarie generalmente corrette. Molto più che in passato. Abbiamo imparato a limitare ed emarginare i fenomeni clientelari che pur esistono. Si può ancora migliorare, ma siamo sulla strada giusta.
Il punto, secondo me, è che Marino, per vincere non deve essere solo e deve essere capace di allargare il campo. Bene, insomma, il suo essere personaggio civico più che politico. Ma adesso servono le idee, le persone, una squadra che, tutelando queste caratteristiche preziose, lo accompagnino in una sfida complessa, lunga. Roma è una città difficile. Che ti ama e ti odia. Ti coccola e ti prende a calci nel sedere. Non basta dire di amarla, devi imparare a sentirne il respiro, a capire in anticipo quale sarà l’emergenza di domani. Credo che Veltroni in questo fosse straordinario. Serve un campo di forze ampio, non tanto in senso politico, ma sociale. Serve un blocco che senta Marino come il proprio candidato. E questo si fa mettendo in campo, da subito una squadra larga, rappresentativa di questa città. Si fa uscendo dall’etichetta di candidato della sinistra e basta, mettendo le mani nei problemi quotidiani di questa città. Per fare il sindaco dei romani devi andare oltre. Altrimenti c’è il rischio di andare lindi e puliti contro un muro. A posto con la coscienza ma irrimediabilmente perdenti.
Marino deve dire cosa vuole fare sui grandi temi, dall’urbanistica, alla mobilità. Ricordandosi sempre, però, che questa è una città che ha fame. Che manca il lavoro. Che la disoccupazione giovanile è un livello intollerabile. Deve saper parlare al cuore della sinistra, deve far tornare in campo anche alle elezioni “vere” quel voto di opinione senza il quale si perde. Sempre. Ma deve dare anche risposte alle ansie quotidiane dei cittadini, dalle buche, ai rifiuti, agli autobus scalcinati. Al lavoro, lo dico ancora una volta.
Io credo che per fare questo serva l’unione fra forze sociali e partiti della coalizione. E serva innanzitutto il Pd. Che non si deleghi, ancora una volta, la campagna elettorale ai soli candidati al consiglio comunale. Mettiamo al servizio del candidato sindaco le nostre idee alle quali abbiamo lavorato in questi anni e le nostre persone migliori. Scelga lui. In assoluta libertà chi crede sia più utile a costruire un progetto per Roma. Ce la facciamo a fare questo? Questo, malgrado sia un po’ scassato, resta un partito grande, forte e generoso. Ricco di intelligenze. Mettiamole in campo.
I Municipi
Quello del voto municipale è l’aspetto che, diciamo la verità, ci ha occupato di più in tutta la campagna per le primarie. I risultati mi sembrano positivi, con una squadra di candidati, nel complesso, giovane, rinnovata e soprattutto all’altezza della sfida che ci attende.
Alfonsi, Torquati, Santoro, Veloccia, Marchionne. Cito solo quelli che conosco un po’, nessuno si offenda. Mi soffermo, in conclusione sul risultato del VII Municipio (ex IX e X) dove le cose sono state complicate dall’accorpamento “a freddo” deciso dalla destra proprio alla vigilia delle primarie. Io credo che possa rappresentare un modello di cosa il Pd non deve fare. Nessuna selezione delle candidature, troppi candidati competitivi. Non è un giudizio di valore. Ma faccio notare che, soltanto limitandosi ai due candidati ex Ds, Franco Morgia e Fabrizio Patriarca, la somma dei loro voti doppia il risultato della candidata vincente, Susanna Fantino di Sel. Che ha avuto una buona affermazione, ma che sarebbe rimasta lontana dal primo posto se fossimo riusciti a fare sintesi. Mi ci metto anche io, anche se ho provato fino all’ultimo a trovare una soluzione più unitaria. Non ci sono riuscito e quindi sono parimenti responsabile rispetto agli altri.
In sintesi e per non annoiarvi oltre, Io credo che di quella squadra larga i primi attori debbano essere proprio i candidati presidenti. Sono loro che sentono il respiro della città più da vicino. Mettiamoli in condizione di lavorare da subito per il nostro Bene Comune, Roma.
Il X municipio e mezzo
Ormai sembra certo che, dopo un annetto buono di suspense, l’assetto definitivo dei municipi inciderà profondamente sull’assetto del X. Nascerà quello che io chiamo il X Municipio e mezzo. Ovvero, all’attuale territorio amministrato dal parlamentino di Cinecittà si aggiungerà il territorio dell’attuale IX, fino a Ponte Lungo, così prevede la delibera comunale. La ferrovia farà da confine con quello che diventerà tutto primo municipio, insieme anche a XVII. Read more »
Questo è il tempo per costruire
Le primarie nazionali ci dicono cose importanti. La prima, non mi stancherò di ripeterlo, è che c’è un popolo che guarda a noi come l’unica speranza di cambiamento per questo Paese. In un periodo di disgusto verso la politica, vedere migliaia di persone, milioni, che si registrano, si mettono in fila e pagano addirittura per poter esprimere il loro contributo dà un’iniezione di adrenalina fortissima. Che ti permette di superare la stanchezza delle settimane passate al circolo, delle alzatacce, delle polemiche inutili e faziose.
A questo popolo, vero, non teleguidato, non comandato dagli “apparati” come hanno provato a far credere, noi dobbiamo sincerità e concretezza: ci hanno dato fiducia e ci hanno rimesso al centro della scena politica. E’ chiaro a tutti che senza la coalizione di centro sinistra, questa volta, non sarà possibile nessun governo. Il popolo delle primarie ci ha dato questa forza. Un patrimonio immenso. Non disperdiamolo, facciamo vedere loro che la fiducia è ben riposta.
La seconda è che le campagne fatte tutte “contro”, tutta polemica e poco sostanza, alla lunga non pagano. A me lo hanno insegnato da piccolo. Mi dicevano i “vecchi”: anche quando fai un volantino ci devi mettere i no ma anche i per. Altrimenti non va bene, siamo all’opposizione ma vogliamo costruire non distruggere. Ecco penso che Renzi abbia sbagliato questo. Ha cercato di fare la parte di quello che mandava tutti a casa, di quello giovane e brillante, una sorta di Obama bianco, che avrebbe rimesso l’Italia a posto in quattro e quattr’otto. “Io ho contro l’apparato, ma ho il consenso dei cittadini”. In realtà del mago Zurlì non ne abbiamo bisogno, le sue ricette sono vecchie, affondano le radici in un neoliberismo bocciato dalla storia. E il popolo del centro sinistra, che condivide sicuramente una parte del suo messaggio, ha dimostrato di aver capito che si serve una persona seria, un lavoratore come Bersani, un centromediano alla Oriali, per rimettere insieme i cocci e ripartire. Per cui alla fine Renzi è stato bocciato proprio da quel voto di opinione su cui aveva puntato la sua campagna elettorale tutta fuochi d’artificio e lustrini televisivi. Verrebbe da dire che non è più tempo di format ma di concretezza. E la concretezza emiliana di Bersani, che magari non avrà un grande carisma, ha avuto la meglio. Come fu per Prodi contro Berlusconi.
Eppure di Renzi dobbiamo tener conto. Dobbiamo tener conto della voglia di rinnovamento che c’è nella gran parte di quel voto. Dei tanti che l’hanno scelto, magari non conoscendo nulla delle sue proposte, ma che esprimono un’ansia e una preoccupazione vera. Ci dicono chiaramente che non si può continuare sulla strada degli anni passati. Ci dicono che anche noi, anche il centrosinistra deve andare oltre i suoi vecchi schemi di pensiero e proporre persone diverse. C’è un tempo per tutti. E questo non è più il tempo delle vecchie facce. Qualcuno l’ha capito e si è messo a disposizione. Altri sgomitano per restare in pista. Bersani adesso ha la forza, la legittimazione necessaria, per promuovere una classe dirigente nuova e preparata. Non serve la rottamazione, non serve la delegittimazione di un partito che, nelle sue mille e mille contraddizioni, ha dimostrato ancora una volta tutta la sua forza.
Serve un lavoro di promozione di quei dirigenti, giovani e non, che in questi anno sono cresciuti, nell’amministrazione, nel partito. Sono tanti, questo è il loro tempo.
E questo va fatto, non solo in Parlamento. Va fatto nelle Regioni che vanno al voto, a partire dal Lazio, va fatto nella scelta dei candidati a tutti i livelli.
Il caso Roma
Entro più nello specifico del caso Roma. Emigrato Zingaretti verso la conquista della Regione si è aperta una voragine. E’ mancato un lavoro di sintesi da parte del gruppo dirigente che si è fidato troppo delle primarie prossime venture. Ai cittadini dobbiamo presentare una sintesi, candidati in grado di governare una città umiliata dagli anni di Alemanno. Non dobbiamo presentare un campionario delle nostre debolezze, ma delle nostre energie migliori. Deve essere una sfida in positivo per far tornare a correre la Capitale. Ecco che allora i vari Sassoli, Gentiloni, Prestipino, Marroni, non sono sufficienti. Serve un sindaco, non un ex giornalista emigrato a Bruxelles o un ex assessore della giunta Rutelli. Neanche la candidatura del capogruppo in consiglio comunale, che in questo quadro è sicuramente la più legittima, quella che segue un percorso logico, secondo me è sufficiente a rappresentare una svolta per Roma. Nomi non ne faccio, perché questo corsa che si scatena ogni volta ci fa soltanto male. Segnalo però un’esigenza, un’urgenza: che il gruppo dirigenti largo del Pd romano si faccia carico di trovare questa sintesi: non lasciamola ad altri, perché quando Roma ha rinunciato alla sua autonomia si sono prodotti disastri.
Il X Municipio e mezzo
Chiudo queste brevi considerazioni sulla situazione del territorio dove faccio politica tutti i giorni o quasi. Con l’accorpamento annunciato fra X Municipio e una parte del IX, questa diventa una città da oltre 200mila abitanti. Ci sono capoluoghi di Regione più piccoli in Italia. Una grande città che continua a crescere e ha problemi diversi dal suo “centro” alla sua periferia. Per quanto riguarda il X io ribadisco che la sinistra, il PD in primo luogo, ha la necessità di chiudere la negativa esperienza dell’ultima consiliatura di Medici e di guardare oltre. Ho in passato ampiamente spiegato perché ritengo sia un’esperienza da chiudere al più presto.
Le candidature presentate al momento non sono sufficienti. Su un versante abbiamo una continuità preoccupante con il malgoverno di questi anni, dall’altro manca la “brillantezza” che serve per fare una battaglia vera, non di testimonianza. Se non altro almeno da questa parte c’è la consapevolezza della necessità di ampliare il quadro e di non presentare una candidatura slegata da un percorso condiviso.
Da luglio in poi non ho sostanzialmente più parlato del X Municipio, rispondendo con i fatti alla richiesta che il gruppo con cui ho lavorato in questi mesi mi ha fatto. Non ho portato avanti quel programma di rottura radicale che avevo abbozzato, con la proposta di una mia candidatura. Eppure sono ancora molti – e non solo nel partito – che mi chiedono di mettermi in gioco in prima persona. Da quelli che non considerano il PD locale e il suo attuale gruppo dirigente un interlocutore credibile, a quelli che avvertono, come me, il bisogno di una rottura non solo generazionale, ma di contenuti. Di una cesura netta. Che vogliono parlare di qualità della vita e non di nuove costruzioni. Di smart city, di raccolta differenziata, di zone pedonali e non di nuove inutili strade.
Non nascondo che l’avventura non mi dispiacerebbe affatto. Del resto bastano 750 firme fra i cittadini per candidarsi alle primarie del centro sinistra. Come dire: una mezza giornata con tre banchetti nelle zone di maggior aggregazione.
E questo, lo ripeto, è il nostro tempo. Non è il tempo delle candidature “conservative”. E’ il tempo di osare, di provare sul campo una nuova classe dirigente.
Eppure sento che una mia candidatura sarebbe insufficiente. Sento che non è il momento delle avventure, degli uomini soli al comando. E’ il tempo, anche nel X Municipio e mezzo, di fare squadra. Di proporre agli elettori, un candidato presidente, ma soprattutto una squadra unita, al di là e oltre le correnti, per fare una rivoluzione democratica anche in quella città che si distende fra Ponte Lungo e Vermicino. A questo lavorerò nelle prossime settimane: alla costruzione di un percorso condiviso, che porti non solo e non tanto a un candidato in netta discontinuità con il passato, ma alla costruzione di una nostra squadra che rappresenti a pieno il percorso fatto in questi anni e che dica chiaramente queste sono le nostre idee per fare del X Municipio e mezzo la casa della trasparenza e della partecipazione.
Perché questo viaggio va fatto assieme. Non c’è un uomo solo al comando.
Appunti per il governo
del Lazio
Un mio piccolo contributo all’elaborazione del programma per le prossime elezioni regionali. Non si tratta ovviamente, di un ragionamento articolato e complessivo, ma di alcuni spunti, secondo me essenziali, per governare davvero e non tirare a campare. Read more »
La regola dell’emerita cippa
Leggo in questi giorni di un nervosismo (per dirla così) fra amministratori, eletti, nominati vari. Si dimettono, si autocandidano a incarichi dei quali non sanno assolutamente nulla, si propongono, si promuovono, cenano, telefonano, inguacchiano. Read more »
Fatevene una cazzo di ragione
Alla vigilia della direzione regionale del Pd di oggi, permettetemi alcune considerazioni su quello che è successo in questi giorni. Mi sembra di poter dire, intanto, che non abbiamo capito la lezione. Ci si divide fra chi vorrebbe ricandidare solo alcuni dei consiglieri regionali uscenti, chi vorrebbe azzerare il tutto e chi sostiene che il gruppo del Pd alla Pisana, pur avendo sbagliato in passato ha fatto una opposizione rigorosa e, in fondo, ha mandato a casa la Polverini. Read more »
Polverini, ma se intanto ti dimettessi davvero?
Tracotante, immacolata, gli indegni sono altri. Cara presidente falla finita. Dici ai consiglieri del Pd che hanno annunciato le loro dimissioni e non le hanno mai date. Ma tu hai convocato una conferenza stampa, hai riempito le pagine di giornali, mi hai invaso il telecomando. Per tutti ti sei dimessa. Ma de che? Read more »
Rivoluzioniamo il Pd. Per cambiare davvero
In questi giorni, dopo la mia lettera ai consiglieri regionali, in tanti mi avete chiesto. “Ma come fai ancora a stare nel Pd”. Altri addirittura come faccio a occuparmi di politica.
La politica è un pezzo della mia vita. Del resto uno dei libri più belli che ho mai letto è “Una scelta di vita” di Giorgio Amendola. Sono cresciuto a pane e Berlinguer. Politica per me non sono le ostriche e le Bmw e neanche i regali di natale dei consiglieri pagati con i soldi dei contribuenti. Politica è pensare il futuro, cercare di ridurre quella drammatica frattura fra i deboli e i potenti che nella nostra società assume connotati sempre più inquietanti. E il Pd, con tutte le sue contraddizioni, rimane il partito che più si avvicina a questo concetto. Non ci sono soltanto le spese faraoniche di pochi, ci sono i sacrifici e le passioni di molti. Che adesso, forse, devono uscire dal guscio e “fare massa” per cambiare davvero. Provo a scrivere alcuni punti che spero di poter discutere presto. L’assenza di dibattito ieri in direzione regionale era giustificata dall’emergenza, ma di cose da dire ce ne sono eccome. E vanno dette a viso aperto, se non vogliamo essere travolto da quella valanga di disgusto che cresce in tutto il Paese.
Siamo tutti d’accordo che le responsabilità principali siano della destra. Ma dobbiamo dire chiaramente che non sono tollerabili comportamenti come quelli che hanno caratterizzato questa legislatura. Non è pensabile che si aumenti l’Irpef ai cittadini, si taglino i servizi e non si dia l’esempio. Per primi. Perché questo è il primo dovere di chi amministra. Così non è stato.
Questa è la prima discussione che il Pd deve fare. Intanto un appello: i consiglieri regionali, una volta che la Polverini avrà formalizzato le sue dimissioni, resteranno in carica fino all’insediamento della nuova assemblea per l’ordinaria amministrazione. Indennità compresa. Poi avranno una corposa liquidazione e il vitalizio. E in più hanno a disposizione ancora molti dei fondi erogati ai gruppi nel 2012. Non so quanto, Montino dice circa 600mila euro.
E’ possibile fare finta che non sia successo nulla? Io non credo.
Ecco il primo punto da affrontare, per il Pd è cosa fare con quei soldi. Restituirli al Consiglio regionale potrebbe essere una buona idea. Che i consiglieri regionali destinassero buona parte dell’indennità che percepiranno nei prossimi mesi per la campagna elettorale del partito potrebbe essere un’altra idea.
E poi dobbiamo dircelo chiaramente: serve una scelta chiara, decisa, senza compromessi: nessuno dei consiglieri uscenti può essere ricandidato. Lo so che non sono tutti uguali. Capisco bene la discussione che c’è stata in questi giorni fra chi approvava la linea Gasbarra e chi ha resistito fino in fondo. Ma in questo caso non si possono fare distinzioni. Serve una scelta di forte rinnovamento, radicale. Serve una rivoluzione. E questa deve partire dall’opzione zero. Zero ricandidati in lista. Montino, devo ammettere con grande stile, ha indicato la strada, la seguano anche gli altri.
Ancora. Servono idee di rottura per la nostra Regione, senza guardare in faccia a vecchi privilegi: sulle società, non servono tagli e riorganizzazioni. Serve una legge di due righe: tutte le società in house, le Spa a totale partecipazione regionale sono abolite. Allo stesso tempo ne serve un’altra nella quale si descrive la nuova organizzazione, si creano le strutture necessarie alla gestione dei servizi. Perché ci sono carrozzoni, ma anche enti che funzionano e anche bene.
In questa maniera si cambia passo, si disbosca una rete di clientele le cui radici corrompono profondamente i territori. Bisogna cambiare passo sulla sanità, andando a colpire quello che non si è mai voluto toccare, il settore privato rimasto sempre a margine dei tagli. Bisogna investire sulle tecnologie, ma davvero. Dire parole chiare sul tema dei rifiuti, dicendo che una discarica, nel terzo millennio, è davvero antistorica. E ancora sui trasporti, sul lavoro. Mettiamo a lavorare le nostre energie migliori, guardiamo alle tante esperienze cresciute in questi anni. Apriamoci. Ma davvero.
Sono solo i titoli, anche provocazioni, ma non è questa la sede per entrare nel merito. Lo faremo nei prossimi mesi. Spero tutti insieme.
E poi serve una cura da cavallo sul piano della trasparenza. A partire dalle liste e dalla campagna elettorale. Liste nuove, pulite, trasparenti. E deve essere una campagna elettorale tirchia: serve un limite di spesa bassissimo, penso a una cifra che non superi 10mila euro. Nessun manifesto con i faccioni, torniamo alle cene di sottoscrizione, evitiamo che i candidati debbano andare a pietire finanziamenti dagli imprenditori perché in consiglio regionale servono uomini liberi. Il partito torni a essere protagonista della campagna elettorale. Spese e finanziamenti dovranno essere messi on line in tempo reale.
E così una volta insediato il nuovo Consiglio le prime misure dovranno essere sulla trasparenza totale, sul funzionamento della macchina. Vanno dimagriti i gruppi e creati servizi efficienti istituzionali. Solo un esempio per rimanere al mio campo: oggi ogni consigliere, o quasi, ha il suo addetto stampa. E poi sul Consiglio regionale, salvo scandali, non esce nulla sui giornali. Sono una sorta di status symbol, come le auto blu. Fosse per me darei a ogni consigliere regionale un abbonamento intera rete per i mezzi pubblici, così, magari, si accorgerebbero di cosa vuol dire fare il pendolare e di come funziona male quel “Tpl” di cui tanto discutono e su cui tanto pontificano.
Ho voluto scrivere un po’ di idee alla rinfusa per dire una cosa: se la sinistra vuole governare davvero, a tutti i livelli deve mettere in atto questa “rivoluzione gentile”. Io credo che il Pd abbia le energie per essere il motore di questo grande processo. Bisogna andare oltre le correnti, gli schieramenti precostituiti. Alziamo la testa e prendiamo in mano questo partito. Io ci sto.
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