Il mondo che viene è peggio di quello che è stato.
Il pippone del venerdì/135
Appunti sparsi in queste settimane di quarantena. Sensazioni e esperienze che si intrecciano nel cervello, il risultato è che uso che questo appuntamento con il pippone per provare a metterci un po’ di ordine.
Intanto, cosa è cambiato davvero nella nostra vita in modalità “chiusi in casa”. Io non credo che sia tanto la mancanza di relazioni sociali, perché già prima, in una città come Roma erano ridotte al minimo. Per uno un po’ sociopatico come me, del resto, questa è decisamente una buona notizia. La scomparsa di alcune convenzioni sociali non può che farmi piacere. Non si stringe più la mano a persone a cui vorresti, invece, dare uno schiaffo, tanto per dirne una. Insomma, abbiamo eliminato dalla nostra vita un po’ della falsità quotidiana a cui eravamo costretti.
No, secondo me, la prima cosa che è cambiata, quella che in realtà tanto ci dà fastidio, è la mancanza di velocità. Eravamo abituati a vivere in un mondo in cui con un click avevi tutto, al massimo aspettavi un giorno per avere la consegna di oggetti di cui non avevamo nessuna urgenza. E anche in questo caso avevamo bisogno di essere rassicurati dal controllo dello stato dell’ordine: è partito, sta arrivando, sta sotto casa, è stato consegnato, fammi sapere se ti è piaciuto. Un ritmo incessante e cadenzato. Adesso al massimo spostiamo i mobili dentro casa.
Ecco, quest’ansia di velocità oggi ci manca. Sopravvive soltanto in chi sta al volante di una smart che si crede ancora di dover per forza stracciare ogni record di velocità, con la sua ridicola scatola di plastica e metallo. Ma quello è un caso clinico a parte. Ora dobbiamo aspettare per fare tutto. Per entrare al supermercato, per comprare qualsiasi oggetto. Dobbiamo aspettare per vedere un parente che si trova a cinquecento metri di distanza, ma fa parte di un’altra cella di reclusione.
Questo è il primo dato: imparare che esiste un tempo dell’attesa e che questo tempo, per di più, non ha una data certa di fine.
La seconda condizione che ci ha imposto il coronavirus è quella dell’incertezza. Gli odiatori di professione stentano perfino a identificare i nuovi obiettivi da colpire. Prima era facile, c’erano gli immigrati, quelli che andavano rispediti a casa loro perché da noi non c’era posto per loro. Adesso che è tutto il mondo a essere isolato, adesso che anche noi abbiamo perso la libertà di circolare senza alcun controllo, forse potremmo imparare a essere meno cattivi.
Invece no. Sarò anche pessimista, ma credo che il mondo che ne uscirà sarà peggiore di quello che abbiamo lasciato. Intanto perché, deve essere chiaro a tutti, non ci sarà un “dopo” immediato, ma ci sarà un tempo indefinito in cui dovremo imparare a convivere con il virus in agguato. La distanza sociale sarà la regola. Per molto tempo ancora. E questo ci imporrà di cambiare radicalmente la nostra stessa organizzazione. Basta pensare alla scuola. Come si fa a stare in una classe distanziati di almeno un metro? Il lavoro non potrà tornare quello di prima, abbiamo scoperto che tutta una serie di attività si possono fare senza spostamenti inutili e senza il bisogno della nostra presenza fisica. Saremo costretti, volenti o nolenti, a continuare a farlo.
Sarà un mondo peggiore, perché ci saranno meno soldi in giro. E perché la concorrenza fra aziende sarà ancora più serrata di quanto accadeva prima. I sognatori positivi credono che si tornerà parzialmente indietro rispetto alla globalizzazione pressoché totale a cui abbiamo assistito negli ultimi decenni. Che le aziende dovranno necessariamente tornare a pensare più in chiave locale, che torneranno in Italia produzioni a cui avevamo dovuto rinunciare. Secondo me, il mercato lasciato da solo non porterà a questo risultato. Anzi, chi era debole dal punto di vista della concorrenza internazionale lo sarà ancora di più, perché la chiusura forzata di questo periodo lo porterà a perdere quote di mercato che difficilmente recupererà. E saranno tante le attività che se prima riuscivano ancora a garantire qualche stentato profitto, adesso non riapriranno proprio. Cominciamo appena a capire che l’idea di un reddito di cittadinanza non era tanto peregrina.
Sarà un mondo peggiore, perché in queste settimane abbiamo preso coscienza di quanto la stessa presenza umana su questo pianeta sia effimera. Basta ritrarsi un po’ per vedere la natura che si riprende i suoi spazi con una velocità che non potevamo immaginare. Siamo i dominatori della Terra, ma la Terra si è anche un po’ stufata di noi. E quando partiremo alla riconquista saremo ancora più cattivi, più aggressivi. Perché quando invece della pagnotta ti restano le briciole, la lotta per conquistarle diventa crudele. Ce ne fregheremo ancora di più dell’inquinamento, del riscaldamento globale, proprio perché avremo preso coscienza del fatto che potremmo sparire da un momento all’altro. Messi in crisi da una cosa che manco si vede.
Sarà un mondo peggiore perché non riusciamo a capire che la radice di tutti i nostri problemi non è il virus, ma è un sistema di produzione che non funziona, che è inefficiente nel distribuire risorse limitate ed è un pericolo in sé non per i più deboli come abbiamo sempre pensato, ma per la stessa razza umana. Abbiamo preso per matti quelli che ce lo hanno gridato in questi anni, adesso sappiamo che avevano ragione, ma continueremo a fregarcene, nell’illusione che l’uomo debba essere necessariamente lupo.
Ecco, andrebbe ripensato tutto, basta guardare le immagini dei senza tetto che nella opulenta California vengono rinchiusi in un parcheggio. Andrebbe ripensato il ruolo dello Stato, il primato della politica sull’economia, l’organizzazione del sistema sanitario, i rapporti tra nazioni. Invece no, saremo tutti più soli, non perché non ci potremo stringere la mano, ma perché i nuovi nemici da odiare saremo tutti noi.
Concludo con una nota lieta: ho finalmente stabilito il tempo giusto di cottura dei cornetti surgelati: 23 minuti a 180 gradi, forno ventilato, ben caldo. Mai al microonde. Sarà poco, ma ti fa cominciare meglio giornate tutte uguali.
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