Il pippone del venerdì/6.
Zingaretti? Speranze e perplessità

Apr 14, 2017 by     No Comments    Posted under: Il pippone del venerdì






La dico subito chiara: il fatto che i turborenzini romani tacciano depone a favore della (auto)ricandidatura di Zingaretti a presidente della Regione Lazio. Poi uno avrebbe voluto un percorso diverso, magari anche meno mediatico. Annunciarlo ad Amatrice, insieme al sindaco che potrebbe essere addirittura il suo avversario, secondo me, è una caduta di stile.
Ma si capisce l’esigenza di mettere un punto in una situazione politica interna al suo partito che lo vede sconfitto nelle assemblee di circolo e probabilmente anche alle primarie del 30 aprile. Sarà anche vero che si vota sul segretario nazionale e che il congresso romano sarà a giugno, ma la progressiva orfinizzazione del partito è evidente. Nel Pd comanda chi gestisce il tesseramento. Da qui, mi pare di leggere fra le righe, la necessità di anticipare i tempi.

Ora però, Zingaretti deve avere ben chiara la strada da percorrere. Non baloccarsi sui presunti risultati raggiunti in questi quattro anni di governo del Lazio, anche perché molte delle promesse sono state disattese, e avviare un confronto serio con tutti gli attori politici e sociali (sottolineo sociali) disponibili a ragionare sulla costruzione di una nuova coalizione. Non del vecchio centrosinistra ormai seppellito da Renzi, ma di una nuova coalizione (sottolineo nuova). Non si accontenti dei peana dei vicini di stanza, insomma, sia esploratore di strade innovative.

Si svincoli, innanzitutto, dall’immagine di uomo di partito, di esponente del Pd che troppo spesso in questi anni ha taciuto sui disastri compiuti da Renzi e dai suoi. Sia a livello nazionale che romano. E si metta alla guida di un grande movimento di rinnovamento. Riformista. Progressista. Vero.

Abbiamo ancora un anno, intanto, per correggere la rotta. La giunta Zingaretti ha rimesso in ordine i conti della sanità, si dice. Il prezzo pagato, in termini di efficienza e di “giustizia” del sistema sanitario regionale, è stato altissimo. Diamo, in questo anno che rimane, un segnale forte di discontinuità? Possiamo dire che, risanati i conti, ora si parte alla ricerca della qualità, dell’eccellenza?
C’è un tema, ad esempio che mi ha sempre appassionato: come si fa a ragione sui costi della sanità, quando il pubblico rappresenta, nella nostra regione, meno della metà dei posti letto accreditati? Si ha intenzione di rimettere mano seriamente agli accreditamenti? Certo è materia complicata, mica dico di no. Altra questione. Riusciamo a creare un sistema di ticket come quello toscano, con un sistema progressivo in base al reddito? Ancora. Diamo un segnale forte sui servizi socio-sanitari, a partire dai consultori? Sono solo titoli e anche parziali ovviamente.

In una sola frase: riusciamo ad uscire, in questo anno che ci rimane, dalla logica della propaganda e degli annunci, che se va bene fa guadagnare a ZIngaretti qualche titolo sui giornali, per entrare in quella dei reali servizi da garantire ai cittadini. Guardate che quando vai in ospedale e aspetti ore al pronto soccorso, quando prenoti una qualsiasi prestazione specialistica e devi aspettare mesi, quando ti rendi conto che assolute punte di eccellenza della sanità sono ridotte al collasso, mica te li ricordi più i titoli dei giornali. E temo che quando i cittadini andranno alle urne conterà di più la realtà dell’apparenza.

La stessa riflessione vale per altri temi. L’inizio dell’esperienza di questo governo regionale aveva suscitato grandi speranze. Un vero riformismo di sinistra poteva cimentarsi nel Lazio, con alla guida quello che tutti ritengono uno dei suoi esponenti migliori. Giudizio talmente unanime che nel Lazio non ci fu neanche bisogno di fare le primarie. Tutti d’accordo. Le attese sono però rimaste in gran parte tali. Non si ricordano provvedimenti legislativi epocali. La distanza fra gli annunci e i voti in aula è stata molto superiore a quella fra via Garbatella (dove ha sede la giunta) e la Pisana (dove c’è l’assemblea).

Serviva un’opera di accorpamento e semplificazione delle norme in materie complicate. Il testo unico sul commercio è rimasto, al momento, impigliato in qualche commissione. Di urbanistica meglio non parlare: anche qui al testo unico più volte annunciato come imminente, si sono sostituiti gli interventi tampone: dalla proroga del piano casa Ciocchetti-Polverini (con poche correzioni e neanche tutte positive) alla legge sulla rigenerazione urbana in discussione in queste settimane che, di fatto, rende permanenti ampie parti dello stesso piano casa. Invece di tagliare radicalmente le troppe leggi che ci sono in questo campo e farne una sola, complessiva, si aggiungono altre norme. La legislazione urbanistica nel Lazio è talmente incomprensibile che diventa inapplicabile. Norme buone soltanto per foraggiare schiere di azzeccarbugli. E nelle pieghe delle quali prospera l’abusivismo.

Per non parlare dei rifiuti. Ora,  va ricordato che in questo campo sono innegabili le responsabilità del Comune di Roma nelle varie declinazioni amministrative e politiche: la capitale produce la gran parte dei rifiuti del Lazio e dunque il nodo resta questo. Ma anche qui si è andati avanti senza un progetto organico, invece di presentare un nuovo piano rifiuti, che metta in pratica i buoni propositi più volte annunciati, ci si limita a una serie di provvedimenti scollegati che correggono il piano esistente, anche questo risalente all’epoca Polverini.

Nulla, infine, dal punto di vista della mobilità, dove la annunciatissima agenzia regionale è rimasta impantanata nell’intricato gioco di assetti societari e non è più in calendario. Serviva un ente unico di programmazione e controllo dei trasporti del Lazio. Che creasse un sistema coordinato fra Roma e le Province. La coincidenza di colore politico fra Roma, la sua area metropolitana e la Regione rappresentavano un’occasione da cogliere al volo. Tutto sfumato. E ci ritroviamo ancora con un sistema capace soltanto di moltiplicare i debiti senza assicurare un servizio decente.

Mi limito a questi flash sugli argomenti che conosco meglio per non farla troppo lunga. Ha ragione, insomma, Stefano Fassina quando mette in guardia sui troppo facili entusiasmi di questi giorni: “Un modello Lazio non esiste”, sostiene il deputato di Sinistra italiana. Il che non significa che non si possa e si debba lavorare per costruirlo. Ma per fare questo bisogna tornare al punto uno. Costruiamolo questo modello, che rappresenti un’indicazione per il futuro a livello nazionale.

Provo a buttare giù un paio di punti, di sicuro non esaustivi, ma credo siano argomenti su cui aprire una discussione.
Intanto ragioniamo sul fatto che si andrà a votare probabilmente lo stesso giorno per regionali e politiche. Un fatto che, inevitabilmente, complicherà le cose. Soprattutto se resterà questa la legge elettorale nazionale. Ora, in politica non si può mai dire, ma è facilmente prevedibile che, in questo caso, la campagna elettorale nazionale prevarrà su quella per il Lazio. E le divisioni che è facile prevedere sulle schede per la Camera e il Senato, tenderanno a prevalere rispetto alle ragioni di unità che Zingaretti avanza con la sua candidatura. Il quadro, insomma, bisogna averlo ben presente: avremo un Renzi scatenato a livello nazionale che farà la sua compagna isolazionista, tutta basata sul Pd e uno Zingaretti che invoca l’unità per vincere il Lazio. E’ evidente a tutti quanto il primo rischi di travolgere il secondo. Anche perché che senso avrebbe presentarsi a livello nazionale e regionale con due programmi divergenti in nome dello stesso partito?

Insomma, c’è il rischio, non lo nascondo, che questa ricandidatura rappresenti più che altro una foglia di fico, utile soltanto a puntellare quella che, se le elezioni nazionali andassero male, potrebbe essere dal prossimo anno la postazione di governo più importante a livello nazionale per il centro sinistra. E se fosse solo questo, è evidente, non riuscirebbe neanche in questo intento.

D’altro canto il sistema elettorale con cui si vota alle regionali è chiaro: turno unico, il candidato presidente che prende più voti vince. E dunque, ove le forze del centro sinistra scegliessero di non andare unite alle urne, una sconfitta sarebbe quasi automatica. Non dimentichiamo che nel 2013, in una situazione di gran lunga più favorevole di quella attuale, Zingaretti, candidato strafavorito, superò di poco il 40 per cento. Una vittoria ampia, perché il suo avversario, Francesco Storace, non arrivò al 30, indebolito però dalla candidatura di Giulia Bongiorno (Fli, Udc, Sc) che spacco il fronte della destra. Il movimento 5 stelle, allora, si fermo al 20 per cento.

Insomma, se non ci si coalizza si rischia non solo di perdere (nel caso del Pd), si rischia la totale irrilevanza (nel caso delle forze alla sinistra del Pd). Ora io non sono un innamorato del governo a tutti i costi. Tutt’altro: credo che l’opposizione sia addirittura utile per rinnovare e formare la propria classe dirigente. Però, al tempo stesso, credo se uno corre debba avere quanto meno la possibilità di vincere. E proprio se non riesce a vincere deve avere la possibilità di entrare in consiglio regionale. La democrazia rappresentativa funziona se hai il cuore e la testa nel tuo blocco sociale, nelle città, nei quartieri, ma i piedi ben piantati nelle istituzioni, altrimenti svolgi un ruolo di mera testimonianza. Perfino rispettabile, ma sostanzialmente inutile. Se non si ha la possibilità di realizzare le proprie idee, di metterle alla prova del governo, si cambi occupazione.

Dunque che fare? Io credo che i propositi annunciati da Zingaretti in forma molto mediatica vadano verificati lontano dai riflettori. La sinistra non può tirarsi indietro e deve rispondere alla sfida. Io ci sto, se la sua volontà è quella di lavorare a un nuovo modello di coalizione “sociale”, così la chiamo io, non civica si badi bene. Ovvero una coalizione che si assume come compito la rappresentanza di un blocco di interessi. E dichiara prima con chiarezza quali sono. Se riproponessimo una semplice riedizione dell’alleanza elettorale del 2013 ci andremmo a schiantare, lo voglio dire chiaramente. Per questo ben vengano anche gli stati generali del centro sinistra del Lazio, annunciati dal presidente per l’autunno. Ben vengano se però evitiamo la solita passerella dove facciamo parlare un’operaia di una fabbrica in crisi, un giovane imprenditore che ha aperto un’impresa innovativa, un impiegato dell’Alitalia, un giovane volontario possibilmente brufoloso, quale amico molto smart che ci parla dei diritti civili.

Io credo che serva un luogo di confronto vero e che non siano sufficienti un paio di giorni chiusi in qualche luogo caro alla sinistra romana per sciogliere i nodi e dare nuovo vento a vele stanche. Credo che queste vele dobbiamo metterle nuove. E per farlo serva un percorso di partecipazione dal basso. Servono comitati locali che diano radici diverse alla coalizione sociale e insieme costruiscano un percorso dal basso. Serve una campagna radicale: assemblee in ogni città del Lazio, in ogni quartiere di Roma. In cui non si vota un candidato, ma si discutono e si votano le idee per rifondare questa Regione.
Zingaretti, insomma, può fare due cose: essere semplicemente il candidato del Pd – un brand in profonda crisi (come direbbero quelli bravi) – il candidato che poi si porta appresso qualche cespuglietto irrilevante e magari vince anche stancamente, nella migliore delle ipotesi. Fa il presidente per altri cinque anni in cui si tira a campare, la stampa non gli ostile, alla fine un posto da parlamentare glielo danno. Oppure può essere il costruttore di una rete sociale nuova. Che può rappresentare il modello da replicare poi a livello nazionale. Una rete, lo ripeto al di là e oltre le forze esistenti che non rappresentano più il proprio blocco sociale. I punti da cui partire sono sempre quelli: lavoro, uguaglianza nei diritti – primo fra tutti quello alla salute – amministrazione sana ed efficiente.

Io credo che Zingaretti abbia l’intelligenza e le qualità per guidare, fare il regista di un progetto simile. Una nuova speranza, si potrebbe dire. Ma credo anche che il troppo consenso interessato non gli faccia bene. Che debba confrontarsi di più con chi gli fa notare quello che non va. E magari ascoltare meno chi fa sempre e comunque la ola. Si può ripartire dal Lazio, insomma. Con un po’ di coraggio e anticonformismo.








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