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Sabato 26 maggio: non facciamo scherzi
. Il pippone del venerdì/56

Mag 18, 2018 by     No Comments    Posted under: Il pippone del venerdì

Questo fine settimana si avviano a conclusione due soap opera francamente melense e stanche. Sabato ci sarà l’assemblea nazionale del Pd, dove si annunciano fuoco e fiamme fra i renziani e gli altri. Si dovrebbe decidere chi guiderà al partito fino al congresso. Il fatto che il candidato dei non renziani sia quello che alle scorse primarie si era candidato in tandem con l’ex segretario fa parte dei paradossi di questo partito. Ha ragione Rosy Bindi: la cosa migliore che potrebbe fare è sciogliersi, dando il via a un processo di riaggregazione della sinistra su basi diverse. Siccome è l’unica cosa sensata da fare non la faranno. Facciamocene una ragione una volta per tutte. Alla fine, malgrado le annunciate conte, rese dei conti e via dicendo, si accorderanno secondo i voleri di Renzi.

L’altra storia che si avvia all’epilogo è quella del governo. Siamo ormai a 74 giorni dal voto, Lega e 5 stelle hanno raggiunto un accordo politico, si tratta sul nome del presidente del Consiglio. Se ne parlerà, a quanto si vocifera, lunedì. Il paradosso è che si cerca un nome dove aver trattato sul programma. Come se fosse una specie di notaio e non una delle figure più importanti del panorama politico. Una sorta di maggiordomo disponibile a prestare la propria faccia a idee altrui. Lo troveranno? Come finirà non è davvero dato saperlo. Salvini e Di Maio ci hanno abituato a sorprese continue. Temo che non saranno positive.  I contenuti del cosiddetto “contratto” non fanno ben sperare.

C’è una terza storia che si avvia se non alla conclusione quanto meno a un punto di chiarimento. Ed è quella di Liberi e uguali, ovvero del progetto di un nuovo partito della sinistra che avrebbe dovuto formarsi dopo le elezioni. Dopo un paio di mesi di silenzio si è fatto vivo a sorpresa Pietro Grasso: ci vediamo tutti a Roma sabato 26, non mancate. Per fare cosa non è dato saperlo: discuteremo insieme su come proseguire il percorso politico. Ci sarà un documento, un ordine del giorno? Mistero assoluto. Secondo me non lo sanno neanche loro. Si tratta, lo dico senza giri di parole, di una convocazione tardiva, perché siamo scomparsi dalla scena per oltre due mesi, ma affrettata al tempo stesso. Non è, infatti, di un’assemblea eletta, rappresentativa (si devono essere resi conto che i delegati nominati per l’appuntamento di dicembre appartengono a una diversa era geologica), ma aperta a tutti quelli che vogliono partecipare. E dunque non sarà un luogo in cui si prenderanno decisioni vincolanti.

Serviva un processo differente, che partisse dalle assemblee locali, capovolgendo la piramide e arrivasse a un’assemblea nazionale davvero rappresentativa. Ancora una volta la democrazia e il confronto vero fanno paura a un gruppo dirigente che guarda con preoccupazione anche alle proprie ombre. Si è preferito discutere separatamente nei diversi partiti, in maniera da alimentare le divisioni in maniera artificiale. Però questo abbiamo e tocca farselo bastare. Sarò dunque breve e spiegherò cosa mi aspetto da questo appuntamento messo insieme alla carlona.

Tre cose vanno fatte secondo me: per prima cosa i dirigenti chiariscano cosa pensano, senza tatticismi. Se vogliono davvero procedere verso la costruzione di un partito unitario, che vada oltre il ristretto orizzonte attuale, bene. Altrimenti, visto che alla base la volontà c’è, si facciano da parte. Devono finirla con questo assurdo gioco del cerino, in cui tutti dicono che la strada è tracciata e poi tifano perché avvenga qualcosa che interrompe il percorso a patto che la responsabilità sia di altri. In questi due mesi sono stato a molte assemblee locali, ho letto i resoconti di altri appuntamenti. Non ho sentito nessuno dire: torniamo indietro, chiudiamoci nelle nostre formazioni politiche di appartenenza. Anche perché molti dei partecipanti sono “esuli”, faticano a inquadrarsi nei tre partitini che hanno dato vita a Leu.

Chiarito il primo punto, si potrebbe passare a fare un elenco dei nodi da chiarire: analisi della situazione attuale, quadro di valori in cui collocare il nuovo partito, la casa europea da scegliere, la forma da assumere. Sono questi i punti su cui si costruisce una forza politica unitaria e autonoma, che non dipenda dalle decisioni che prenderà il Partito democratico. Siamo d’accordo, ad esempio, su una critica serrata sulle scelte compiute non nell’ultima legislatura ma – almeno – a partire dagli anni ’90 del secolo scorso? Siamo d’accordo sull’esigenza di costruire un nuovo orizzonte strategico per la sinistra a livello non solo italiano?  Senza un quadro di valori nuovo, che risponda alle esigenze della società liquida continueremo a farfugliare soluzioni estemporanee e non riusciremo a rappresentare un’alternativa credibile alla destra. Né tanto meno a tornare a parlare con quelle classi sociali più deboli che mai nella nostra storia sono così lontane da noi. Ma la sinistra che prende i voti solo dei ricchi e snobba gli operai è destinata, giustamente alla scomparsa. Quale forma vogliamo dare al nuovo partito? Anche qui, non servono risposte tese unicamente a preservare gruppi che ormai dirigono soltanto loro stessi. Federazione, confederazione, partito pesante. Tutte definizioni rigide che hanno poco senso nell’era liquida e non si calano nella realtà delle nostre città, dove serve un partito che “faccia società” e non si ponga solo la questione della rappresentanza. Dobbiamo porci, insomma, l’obiettivo di riannodare i fili in un mondo dove la solitudine digitale è ormai la regola. Tornare alle nostre origini, a forme mutualistiche, a iniziative che non solo descrivono la società che vorremmo ma la creano un pezzo alla volta. In questo quadro io resto dell’idea che la soluzione siano forme di adesione differenti al partito: singole o collettive, allo stesso tempo, lasciando aperte strade diverse per coinvolgere associazioni culturali, politiche, sindacali.

Terza questione da affrontare: come e in quali tempi si sciolgono questi nodi. Diffido per abitudine di chi lancia appelli a “evitare derive organizzativistiche, perché non ci servono nuovi contenitori altrimenti”… e via con un profluvio di parole senza senso alcuno. Una casa, solida e aperta al tempo stesso, ci serve eccome. Perché l’assenza di una struttura ben definita ha dato luogo a questa situazione di delega in bianco a gruppi parlamentari che a loro volta hanno teso esclusivamente alla propria sopravvivenza. Non mi aspetto ovviamente che l’assemblea del 26 ci dia tutte le risposte, ma, appunto, che ci indichi almeno i percorsi e i luoghi in cui darle. Se si individua un percorso chiaro e partecipato lo spazio in cui muoversi non sarà angusto, altrimenti, almeno da parte mia, non darò la mia disponibilità a soluzioni pasticciate e finte. Io credo, dunque, che dopo aver definito le domande a cui rispondere, l’assemblea del 26 maggio sia chiamata a dire quali sono i luoghi in cui si danno le risposte a quelle domande. E credo ancora che non sia possibile più dare deleghe in bianco a nessuno. Bisogna ripartire, lo dico per l’ennesima volta, dalle città, dai quartieri. Con assemblee aperte, in cui ci si confronta si trovano le strade unitarie. E ci si confronta non solo con chi c’era il 4 marzo, ma soprattutto con chi è rimasto a casa. Ci servono luoghi diversi in cui intrecciare discussioni “alte” sui valori, con la necessaria quotidianità dell’azione politica.

Ecco, sembrano cose semplici da fare. Ma non sono ottimista. Mi sembra che a oggi prevalgano ancora i tatticismi che ci hanno ridotto ai minimi termini. L’assemblea non ha una traccia, si prefigura come l’ennesima seduta di autocoscienza. Spero di sbagliarmi, ci vediamo il 26.

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