Come sopravvivere nel Pd
degli opposti stronzismi
Un mio post di stamani mi ha indotto a una domanda profonda, perdonatemi l’arroganza, ma vorrei definirla addirittura una domanda “di senso”. Anche alla luce della conclusione della fase congressualprimariale, che ieri, con l’ultima riunione della commissione congresso, si può definire ufficialmente sepolta.
La domanda, ovvero la considerazione, è questa: il Pd è un partito in cui quelli che definisco amabilmente nel titolo “gli opposti stronzismi” soffocano le tante passioni e intelligenze vere e rischiano di emarginarle. Questo in primo luogo perché gli opposti stronzismi riempiono il mondo virtuale, arrivano ai giornali, fanno rumore e sembrano essere l’unico modo di essere nel Partito. Io credo che non sia così. Ma andiamo con ordine.
Il primo stronzismo è il correntismo esasperato che vede ogni occasione come modo di contarsi. In vista di qualcos’altro. E ce ne sono tanti e opposti, anche in questo caso.
Prendete il caso del Claudio Mancini. Ora, viene da una storia in cui si è sempre distinto per la violenza delle sue posizioni. Dalemiano di ferro, anzi talebano per dire le come stanno, ha sempre applicato una logica spartitoria anche alle sedie di casa. Famoso il suo grido di battaglia: voglio il 20 per cento delle maniglie della federazione! E adesso, dopo lo scontato successo della lista da lui ispirata, insieme a Di Stefano e Dalia (roba da 40mila preferenze o giù di lì, come poteva non andare bene?) ha cominciato a scagliarsi contro quelli della lista individuata come concorrente la lista 3M (Miccoli, Montino, Marroni). I primi due giorni dopo le primarie li ha passati a chiedere le dimissioni di Miccoli e Montino. Adesso che siamo al terzo giorno, pare che Marroni si sia offeso perché ancora non ha chiesto le sue. Si dice che il realtà il ragazzo ambisca ad altro. Ma è fatto così fin dai tempi della Fgci: se voglio questo incarico comincio a sparare contro tutto e tutti, altrimenti non mi si fila nessuno. Il correntismo altrettanto esasperato (può sembrare un paradosso ma è così) è quello di Cristiana Alicata. Da anni sale sull’autobus e porta a casa risultati. L’ha fatto con la mozione Marino (prima ha bussato alla porta di Franceschini, poi visto che quella è rimasta chiusa ha bussato alla porta del senatore che in quella fase era ansioso di trovare supporter) ha sempre preteso seggiole e strapuntini per lei e per i suoi, fino ad arrivare ad imporre la sua candidatura alle elezioni regionali, quando manco sapeva dove stava il consiglio regionale. Ma, si sa, si parla di merito e competenza solo per gli altri. Per sé il concetto non vale. Stesso ragionamento con l’operazione “Rigenerazione democratica” e adesso è ripartita con l’operazione bascelé. La tecnica è sempre la stessa. Ci si imbarca su una nave più grande con il proprio gruppo di fedelissimi, si prendono i voti degli altri, non importa se siano democristiani o gente di sinistra perché secondo la coattissima grillina del portuense sono concetti superati . Si strilla che il partito non va bene, si parla di brogli e truppe cammellate quando si prendono gli schiaffoni e poi si entra nelle segreterie. Sempre. Accadrà anche questa volta, state tranquilli.
E’ un correntismo alla rovescia, forse anche peggiore di quello classico: un gruppo coeso che colonizza aree politiche, gridando contro le stesse aree e parla di spartizioni e lottizzazioni. E poi applicano il cencelli anche per andare al cesso.
Poi ci sono i giovani rampanti che si riparano dietro il potente di turno e si legano mani e piedi a lui. In maniera acritica. Senza capire che, magari quelli come me saranno anche esagerati, sfrontati e volgari, ma uno che vuole fare un dirigente si deve esporre deve avere fare le sue battaglie politiche non fare quelle degli altri.
E’ una razza molto diffusa.
Poi c’è il partito. In cui ci sono persone che la pensano magari differentemente, ma che non capiscono come si possa andare avanti in questa maniera.E guardate che, viste le premesse, la nuova asssemblea sarà molto simile a quella passata, la nuova direzione idem, la nuova segreteria altrettanto e alla fine ci si dovrà rifugiare nel classico caminetto. Sicuramente Gasbarra non è Mazzoli, ma se non nasce un gruppo dirigente autorevole non basta un segretario autorevole. Tornando a noi, fra le persone di cui sopra, ci metto anche (non solo – perché ho da tempo superato la logica della contrapposizione acritica per cui chi sta con me è buono tutti gli altri puzzano – ma anche) i quattro matti che hanno dato prima vita alla candidatura di Marco Pacciotti e poi alla lista “A Sinistra”.Sarò lungo, ma la voglio raccontare. La prima parte della storia nasce, in gran parte, da un gruppo di compagni che ha sostenuto al congresso del 2009 la mozione Marino. E proprio perché veniva da quella storia non ha potuto sopportare l’imposizione del senatore che un giorno li ha convocati e ha più o meno detto loro: allora io ci metto la faccia, ma la candidata a segretaria regionale è Marta Leonori, la mia assistente parlamentare, nonché direttrice per caso di Italiani europei.
Non ha potuto proprio dire di sì perché quel gruppo, alla favole del merito, della competenza, ci credeva davvero. Poveri illusi. Pensavano che bisognava candidare una delle persone che, nei due anni trascorsi, si era impegnato nelo Pd del Lazio, aveva fatto mille riunioni, mille iniziative nei circoli, per sostenere quelle tesi. Non una marziana decisa in un vertice a tre. A quanto pare quella scelta non l’hanno capita manco gli elettori.Da lì, sia chiaro, a Roma e nel Lazio l’area Marino, Cambia l’Italia, chiamatela un po’ come vi pare è finita. La Leonori è stata sostenuta da un’inedita e del tutto rispettabile coalizione Sposetti-Meta-Tocci-Madia. Rispettabile, lo ripeto, che però è una cosa diversa e per larghi tratti incomprensibile.Pacciotti ha pagato la mancanza di programmazione della sua candidatura e il soccorso bianco arrivato a bascelé, è arrivato quarto pur sfiorando il miracolo con l’8 per cento dei voti. Insieme, in una riunione aperta a tutti, quel gruppo ha deciso che l’esperienza doveva continuare e, insieme, ad altre esperienze di sinistra, ha dato vita alla lista omonima a sostegno di Gasbarra.Anche qui, parliamoci chiaro: siamo rimasti schiacciati da una competizione tutta interna alle liste con Gasbarra. Non abbiamo avuto la forza, il tempo e soprattutto i mezzi per spiegare il nostro progetto politico. Lo sapevamo da prima che sarebbe successo. Eppure portiamo in assemblea regionale una ventina di matti, di tutto il Lazio. Che vogliono provare a rappresentare uno dei motori di cambiamento di questo PD.
Senza la presunzione di essere i più bravi, i più puliti, i più buoni. Anzi, con la consapevolezza che ci sono tante energie sane che potrebbero ritrovarsi in quel progetto politico. Io provo a dirlo in due battute, che sono le stesse che ho ripetuto ossessivamente nei congressi: un partito più di sinistra, perché questa parola deve tornare a rappresentare la speranza di riscatto dei deboli, di chi il potere lo subisce sempre sulla propria pelle e ha bisogno di ritrovare una casa. il partito degli iscritti e non delle tessere. Il partito dei militanti che devono contare di più nelle scelte. Per chi ha voglia di leggere: io credo che il nostro programma a sostegno della candidatura di Pacciotti possa essere ujna base di partenza.E allora, torno alla domanda iniziale, come sopravvivere nel Pd degli opposti stronzismi?Da parte nostra dobbiamo far vivere il progetto da cui siamo partiti. Ci siamo detti che questo congresso era un punto di partenza. Ora diamo gambe e forza alle idee. Facciamole conoscere, promuoviamo inziativa politica. Nelle province dove siamo arrivati a stento, in tutte le zone di Roma. E vediamo chi ci sta. Serve una cosa nuova e credo che quello slogan che avevamo scelto “Diritti a sinistra”, possa rappresentare il marchio di fabbrica per un luogo dove si possano ritrovare le tante persone che sono d’accordo con noi ma che, in questa fase, si sono lasciate convincere dalle vecchie appartenenze o che hanno inconsapevolemente seguito le sirene della finta protesta fine a se stessa. Io credo che non funzionino più gli schemi classici: dalemiani, lettiani, popolari, zingarettiani, cattogrillini e via dicendo. Sono questi schemi che soffocano il partito e non solo non lo fanno volare, ma anzi lo zavorrano. Serve una sana rottura delle appartenenze, senza crearne di nuove e soffocanti: liberi nel Pd. Liberi di confrontarsi con tutti, anche fuori dal Pd. Per recuperare i tanti delusi. Serve un luogo dove questa scintilla possa diventare un fuoco. Dobbiamo costruirlo insieme. E farlo presto. Contro gli opposti stronzismi, insieme a chi non ne può più.
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