Archive from luglio, 2018

Serve una nuova Resistenza, civile e politica.
Il pippone del venerdì/66

Lug 27, 2018 by     No Comments    Posted under: Il pippone del venerdì

Sono passati quasi 5 mesi dalle elezioni del 4 marzo. Abbiamo fatto decine di riunioni per cercare di capire cosa è successo, come ripartire. Assemblee, convegni, seminari, congressi. Poco più che sedute di autocoscienza che hanno messo a dura prova la pazienza di tutti noi. Di provare a fare opposizione, di costruire una visibile alternativa non se ne parla. Eppure, mi sbaglierò, ma io credo che malgrado tutto ci sia una parte di questo Paese, non so quanto grande, che attende con ansia che si manifesti una qualche forma di resistenza a questo governo.

Successe anche nel 1994. Si votò il 27 e 28 marzo e fu una sberla forse ancora più forte quella che abbiamo preso adesso. Perché allora speravamo di vincere, abbagliati dalla “gioiosa macchina da guerra” messa in campo da Achille Occhetto, uno dei nomi da segnare in alto nella lista dei grandi guastatori della sinistra italiana. Speravamo di vincere e ci ritrovammo con i fascisti di Alleanza nazionale al governo, il famoso 61 a zero per Berlusconi in Sicilia. Nel ’94 però i tempi di reazione sono stati rapidi. Giorni, poche settimane. Fu “il Manifesto” a lanciare la palla con un appello. Si potrebbe fare una grande manifestazione, si potrebbe fare a Milano, il 25 aprile. Cominciava più o meno così, se ben ricordo.  Ora, magari i puristi del politicamente corretto storceranno un po’ la bocca, perché il 25 aprile non è di parte. Ma all’epoca sembrò una grande idea, del resto avevamo i fascisti al governo e l’acqua di Fiuggi con la quale Gianfranco Fini aveva provato a bonificare il Msi non convinceva più di tanto. La fiamma missina ardeva alla base del simbolo di An, a ricordare da quale storia venissero. Quale data migliore dunque?

E allora partimmo in tanti. Treni, pullman, auto private. A Milano trovammo una pioggia ininterrotta che ci entrò nelle ossa. Non smise un attimo. Praticamente al ritorno pareva un treno di migranti dei primi del ‘900, con i panni stesi ad asciugare nei vagoni. Eppure avevamo tutti un gran sorriso in faccia. E non si dica che allora i partiti esistevano, non erano ancora ridotti agli attuali collettori di consenso. Non c’erano i partiti. C’eravamo noi. E da quella manifestazione, da quelle centinaia di migliaia di persone che invasero Milano arrivo la scossa che serviva. Si ripartì, si ricostruì un progetto alternativo a quello di Berlusconi che pochi giorno dopo sarebbe diventato presidente del Consiglio.

Certo, era un’Italia diversa, c’era ancora tanta “società”, i corpi intermedi, i sindacati non erano ancora stati svuotati dal lavoro precario, non c’erano i social, perfino i telefoni cellulari erano ancora un prodotto di nicchia. Si usavano solo per alcuni lavori. Perfino “il Manifesto”, giornale comunque d’élite, era più forte, aveva più radici nella società. Però io penso che anche adesso servirebbe una risposta simile. Una grande manifestazione popolare che metta insieme e dia respiro alle tante esperienze di resistenza civile che, con grande fatica, si sono comunque manifestate in questi mesi. E credo che un appuntamento del genere aiuterebbe anche il lavoro di ricostruzione di un partito della sinistra e di una alleanza di governo. Un partito che non può nascere dalla semplice somma di qualche esanime gruppo dirigente che cerca una via di salvezza per se stesso. E un’alleanza che non può essere la semplice somma di tante debolezze.

Serve una nuova Resistenza, lo dico con la dovuta enfasi, ma senza retorica. Perché siamo di fronte a un governo che se ne frega della Costituzione, delle regole elementari di civiltà come il soccorso in mare e punta soltanto a soddisfare la pancia del Paese creando nuove divisioni e scaricando le frustrazioni dell’Italia che non arriva a fine mese sui disperati della terra.

Serve una nuova Resistenza, e serve subito, uscendo dalla dimensione meramente civica che hanno assunto le proteste di questi mesi, dalle maglie rosse di Don Ciotti alla lotta ostinata di Saviano. Serve una dimensione politica e questa non può che nascere dalla piazza, da una grande manifestazione piena di tutti quei colori che il triste Salvini vorrebbe ridurre al grigio. Una giornata che non solo ci regali qualche sorriso in un periodo in cui di motivi per sorridere ne abbiamo pochi, ma rappresenti un punto di riferimento, dia coraggio a tutti quelli che non sono d’accordo, ma si sentono soli.

E guardate che anche questo conta. Dobbiamo far capire alla “maggioranza silenziosa” che non c’è solo Salvini in questo Paese, che c’è ancora chi non si arrende. Magari, poi, si prova a dare anche un segnale al Pd che in molti a sinistra vedono come alleato già oggi, ma continua a votare provvedimenti indecenti come le motovedette regalate ai signori della guerra libici. Invece di fare alleanza asfittiche, che sono forti solo nella testa di chi le concepisce, proviamo a ripartire dalle questioni concrete. Alleiamoci su una grande battaglia in difesa dei valori della Costituzione. A meno che per ribellarci non vogliamo aspettare che la Casaleggio e associati chiuda il Parlamento e lo sostituisca con una chat.
Ora vista l’inutilità dei partiti esistenti, anzi il danno quotidiano che provocano, io credo che debbano essere gli intellettuali, le personalità che in queste settimane hanno dato segni di esistenza in vita, a lanciare un appello. Una cosa semplice del tipo: ci vediamo il 15 settembre, a Roma.

Magari a San Giovanni, che porta bene.

Meglio andare al mare, che fa caldo.
Il pippone del venerdì/65

Lug 20, 2018 by     No Comments    Posted under: Il pippone del venerdì

La situazione è questa: nel Mediterraneo si continua a morire mentre Salvini mostra i muscoli a chi annega. Nel frattempo ci ritroviamo uno che fino a poche settimane fa era dipendente di Mediaset alla presidenza della commissione di vigilanza sulla Rai con i voti di Lega, Forza Italia e Pd. E per finire, per alleggerire il decreto dignità, tanto vacuo ma comunque inviso a Confindustra talmente assuefatta ai governi scendiletto da non poter sopportare alcuna regola in favore dei lavoratori, quasi certamente torneranno i voucher, ovvero la schiavitù con un nome più corretto.

In tutto questo dove siamo? Protestiamo su facebook, ci facciamo coraggio tra di noi e ne usciamo con le nostre convinzioni ancora più forti. Il Pd riunisce la sua segreteria nazionale nelle periferie più disagiate di Roma, Napoli e Palermo, dibatte con grande ruvidezza sulla data in cui svolgere le primarie e sta bene così. Articolo Uno celebra clandestinamente un congresso senza senso alcuno e sta bene così. Liberi e Uguali agonizza, tra nomine come al solito calate dall’alto e silenzi imbarazzanti che continuano a essere la nota caratteristica di questo “soggetto politico”. Poi alla prossima assemblea nazionale magari si ripresenteranno a chiedere scusa. I sondaggi, per la cronaca ormai danno Salvini-Di Maio oltre il 60 per cento e se non ci diamo una mossa alle prossime elezioni la sinistra non concorrerà proprio. Perché quando gli elettori hanno la percezione che siano altri i protagonisti della partita il voto tende a polarizzarsi, ormai dovremmo averlo capito.

Eppure si può anche fare di peggio. Basta leggere le due proposte contrapposte – ma in fondo uguali – che arrivano da Laura Boldrini e Nicola Fratoianni. Due che, badate bene, sono stati eletti in Parlamento nelle liste di Leu con l’impegno, va sempre ricordato, a costruire un partito unitario a partire dal 4 marzo. In questa situazione, dai due più barricaderi leader della sinistra multipla uno si aspetterebbe chiamate in piazza anche alla fine di luglio. Niente da fare. Si ha piuttosto la sensazione che si trovino su qualche terrazza a discettare sorseggiando aperitivi esotici. L’ex presidente della Camera lancia un’ideona per le elezioni europee: la lista di tutti i progressisti (in sostanza Pd e Leu), un’alleanza doverosa, a suo dire, per contrastare i populismi. Il segretario di Si fa la proposta opposta (e per questo, in fondo, uguale): una bella lista unitaria di tutta la cosiddetta sinistra radicale. Rifondazione, De Magistris, Altra Europa, Sinistra italiana: tutti insieme appassionatamente.  Dico che si tratta di due proposte opposte ma in fondo uguali perché hanno una nota comune se ci pensate bene: tutte e due prevedono la fine di Liberi e Uguali. Quelli che vengono dal Pd ritornino nel Pd, o in un listone simile. Quelli che vengono dalla sinistra radicale tornino con gli altri pezzettini di quell’area. E vissero felici e contenti. Quelli delle varie destre ovviamente.

L’ho scritto tempo fa, ma oggi mi sembra ancora più attuale. Sembra di vivere una specie di film di quelli dove ogni giornata si ripete uguale all’infinito. Cambiano i protagonisti, ma gli errori restano sono sempre gli stessi. E così dopo il nuovo Ulivo pensato da Pisapia per ripetere i fasti – e i disastri – di Prodi arriva addirittura la lista unita della coraggiosa Boldrini.  Con quali riferimenti culturali, con quali alleanze a livello europeo non si sa. L’unica cosa che conta è far fronte comune contro i barbari che ormai non solo sono alle porte ma sono proprio dentro casa. Poco importa che il Pd guardi a Macron e continui a rivendicare le politiche liberiste adottate dai suoi governi. L’importante è stare insieme. E così, come un novello Bertinotti, incurante del pericolo, arriva il Fratoianni e lancia la nuova accozzaglia radicale. Obiettivo dichiarato eleggere i soliti due, tre europarlamentari. Perché di questo stiamo parlando. E’ dimostrato che gli elettori non la votano questa roba.

E di tutto quello che succede fuori? Se ne interessa qualcuno? Pare di no. Abbiamo un coraggioso deputato che si è imbarcato sulla nave di una Ong del Mediterraneo. Ogni tanto arriva qualche comunicato di Fassina che osanna le tesi del maestro Savona. Poco altro. Tutti a dibattere su cosa fare alle elezioni europee. Che poi sarebbe anche un tema interessante se si affrontassero i nodi veri che abbiamo di fronte. Intanto come si ricostruisce una casa della sinistra anche a livello europeo, andando oltre gli steccati di adesso. Perché oggi come oggi io non mi sento troppo vicino al Pse, o almeno a buona parte dei suoi dirigenti, ma mi sento stretto anche nella Gue, che appare come una formazione residuale, senza la capacità di incidere davvero. E infatti, gli altri, in tutto il continente, di questo stanno ragionando. C’è il tentativo di Diem25, c’è stato il documento firmato da Mélenchon, Podemos e dai portoghesi del Bloco de izquierda. Ci sono movimenti anche nel Pse, dove gli spagnoli non sono proprio uguali ai tedeschi. Non si parte dal contenitore, nel resto di Europa di parla delle questioni che abbiamo di fronte. Gente strana.

Si ha la sensazione, insomma, che l’Italia sia un’isola a sé, chiusa a tutto quello che le avviene intorno, dove protagonisti vecchi al di là dell’età anagrafica tendono a riproporre formule ancora più stanche con l’unico scopo di salvare qualche posticino. Spero di essere smentito ovviamente. Magari a settembre il gruppone di nominati da Grasso nel comitato promotore di Leu ci stupirà producendo un bellissimo manifesto fondamentale del nuovo partito che dia una base solida alla discussione. Magari avremo finalmente un percorso nel quale si parte dai quartieri e non da assemblee provinciali finto democratiche dove prevalgono necessariamente le vecchie consorterie e si riesce a stento a parlare. Cinque minuti, mi raccomando i tempi.

Intanto – e per oggi la finisco – meglio andare al mare, che fa caldo.  Incrociamo le dita che di agosto la sinistra di solito è in grado di dare il peggio del peggio. L’idea del Pd, solo per fare un esempio, nacque proprio in agosto, da un appello di Prodi ai partiti dell’Ulivo per fare una lista unitaria in vista delle elezioni europee che si sarebbero state l’anno dopo. Insomma, tutti al mare, con le dita incrociate. Quello che ci aspetta a settembre, mai come quest’anno, non è dato saperlo. Per ancora un paio di settimane vigilo da qui.

Per fare politica bisogna essere ricchi.
Il pippone del venerdì/64

Lug 13, 2018 by     1 Comment     Posted under: Il pippone del venerdì

Fra le varie involuzioni a cui abbiamo assistito negli ultimi decenni l’abolizione del finanziamento della politica è quella forse più complicata da spiegare, ma anche più grave. Più complessa, perché l’abolizione dei fondi pubblici destinati ai partiti, la stretta sui locali destinati alle attività politiche, l’eliminazione dei vitalizi e la riduzione dello stipendio degli eletti nelle istituzioni rappresenta una risposta a un sentimento popolare diffuso, creato ad arte, contro la cosiddetta casta. Ricordate il famoso libro di Rizzo e Stella? Beh, il fatto che l’epicentro della battaglia contro i privilegi dei politici sia stato uno scritto, lacunoso e zeppo di imprecisioni, di due strapagati giornalisti del Corriere della Sera la dice lunga. La finanza e l’economia, si sa, in questi anni hanno fatto di tutto per scrollarsi di dosso qualsiasi tipo di laccio. E sottomettere il potere politico a quello finanziario è sicuramente la strada più semplice per avere la strada spianata.

La riduzione dei diritti sociali, le cosiddette riforme che hanno reso sempre più precario il lavoro, lo smantellamento dei corpi intermedi e la realizzazione di una società sempre più liquida e sempre meno solidale, sono il frutto ultimo di quello squilibrio di poteri fra politica ed economia che nel nostro Paese si manifesta oggi nella forma più subdola. Cosa è, del resto, il governo Salvini-Di Maio se non la resa definitiva al potere finanziario? Ogni giorno si parla di economia? Di lavoro? Di diritti sociali? Ma neanche per sogno. Si alzano polveroni, si creano nuove paure, nuove artificiali divisioni nelle classi proletarie per coprire da un lato lo smantellamento di quello che resta del vecchio sistema politico, dall’altro il via libera definitivo al potere finanziario.  E anche un pallido provvedimento come il “decreto dignità” sarà svuotato ulteriormente dal passaggio alle camere. Si parla perfino di reintrodurre i voucher, moderna forma di schiavitù. Tanto l’opposizione non esiste e fra un pop-corn e l’altro non trova manco il tempo di organizzare una qualche forma di protesta.

Ma torniamo al tema principale. Si parlava del finanziamento pubblico della politica, di cui in questi giorni, con il taglio drastico ai vitalizi già in essere per gli ex deputati, si elimina l’ultimo pezzo. Non voglio neanche entrare nel tema, delicatissimo, dei diritti acquisiti: ci accorgeremo nei prossimi anni – se il provvedimento supererà i ricorsi annunciati – del danno prodotto, quando si arriverà a toccare le pensioni in essere delle persone “normali”. Il vitalizio, come le altre forme di finanziamento pubblico, in Italia fu fortemente sostenuto dalla sinistra. La ragione dovrebbe essere evidente, uso termini antichi perché almeno ci capiamo al volo: per competere, chi si candida a rappresentare il proletariato, non ha gli stessi strumenti di chi rappresenta i padroni. E un deputato che si fa una o due legislature deve essere indipendente nel suo mandato e quindi avere un compenso adeguato. Ma deve avere garantito anche il suo futuro dopo l’impegno politico. Perché solo chi lavora nel pubblico, di fatto, ha diritto all’aspettativa per il periodo in cui ricopre un incarico elettivo. Gli altri, nella grande maggioranza dei casi, perdono il lavoro.

E’ lo stesso filone del finanziamento pubblico abolito definitivamente non dalla destra cattiva, ma da un governo a guida Pd, quello presieduto dal troppo incensato Enrico Letta. Abolendo il sistema di rimborsi legato ai voti presi alle elezioni si dà spazio al finanziamento dei privati, l’unico possibile. E i privati sono imprese che hanno a che fare con la politica. E i privati che hanno a che fare con la politica vogliono condizionarne le scelte. Un sistema all’americana, insomma, con le lobby che comandano. Siccome, poi, siamo in Italia dietro il finanziamento c’è spesso un sistema di corruzione. L’ultimo caso romano, quello del costruttore Parnasi, è emblematico: finanziava tutti i partiti, per avere sempre gli appoggi giusti. Secondo le accuse il finanziamento avveniva in parte in maniera legale, ma pur sempre criticabile dal punto di vista etico, in parte tramite fatture false e fondi neri.

Io credo che questo sistema non funzioni, che noi abbiamo bisogno di un sistema politico forte e autonomo. E se questo ha un costo elevato per la collettività, va rilevato il che il costo di un sistema politico asservito ai padroni è molto più alto. Il costo, solo per fare un esempio, è la vita di quel cavatore morto sulle Apuane pochi giorni fa. Aveva un contratto di sei giorni. Una roba che dovrebbe essere espressamente vietata. E, invece, nell’Italia che si batte contro la casta, è perfettamente legale. Ma il costo è ancora più alto se pensiamo che, di fatto, l’eliminazione di vitalizi e finanziamento pubblico ci riporta ancora di più a un sistema politico ottocentesco, in cui i partiti non esistono più, sostituiti da gruppi di notabili. I ricchi tornano a essere i padroni assoluti della scena, perché in questo sistema solo chi ha un suo patrimonio o è robustamente foraggiato può fare politica. Le masse che oggi plaudono alla sconfitta della casta rischiano di essere nuovamente espulse dal panorama politico. Dall’800 la politica, da Marx in poi, è stato lo strumento di riscatto per le masse, il modo per riequilibrare una società basata sul famoso furto originario, la proprietà privata. Ora non più. Torna a essere strumento per rafforzare lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo.

Anche a questo dovrebbe servire una sinistra nuova in Italia. A immaginare un sistema in cui le cariche politiche tornino contendibili senza dover investire centinaia di migliaia di euro. Si dice: ma internet ha ridotto il costo delle campagne elettorali, basta essere bravi sui social ed è fatta. Anche questa è una balla: per prevalere sui social servono eserciti di comunicatori professionisti che costano forse anche di più dei vecchi manifesti. No, servono i partiti e devono essere finanziati dallo Stato per svolgere la loro funzione principale: quella di selezionare la classe dirigente in maniera democratica. Bisogna rifondare il sistema politico nel suo complesso. Dare, intanto, attuazione alla norma costituzionale con una legge che disciplini la vita democratica dei partiti.  Regole base alle quali attenersi per evitare i partiti padronali. E poi servono nuove forme di finanziamento pubblico. Siccome credo che i partiti debbano vivere nella società, non mi stancherò mai di ripeterlo, una forma interessante di finanziamento potrebbe essere quello di avere dei locali di proprietà pubblica con un affitto simbolico. La scomparsa, a Roma ormai ne restano davvero poche, delle sezioni di partito dai nostri quartieri vuol dire privare i cittadini di punti di riferimento utili a far valere le proprie ragioni in maniera trasparente e non clientelare.

Capisco, lo dicevo all’inizio, che spiegare la necessità dei vitalizi, dei finanziamenti ai partiti è una faticaccia. Ma varrebbe la pena di farlo. Una società senza forze politiche popolari è una società più povera, più debole e frantumata. Ultima notazione, ultimo allarme: a Roma sono scomparse anche le ultime feste di partito. Può sembrare un fatto minore, ma per decenni sono state il principale canale di comunicazione che la sinistra aveva con il suo popolo. Non c’erano solo le salsicce e le balere. Che comunque visti i prezzi popolari avevano un loro significato. C’erano cultura e politica che riempivano le piazze di popolo. Io trovo che senza le feste siano anche città più tristi e meno sicure: gli spazi di socialità – la lezione di Renato Nicolini andrebbe sempre ricordata – sono fattori di crescita, di coesione per le comunità. Noi siamo sempre più chiusi nei nostri appartamenti con l’aria condizionata a gioire per la sconfitta della casta via social con persone che non abbiamo mai visto in faccia.

Sarà anche la modernità. A me sembra il medioevo.

Riempiamo di colori i covi fascisti. Il pippone del venerdì/63

Lug 6, 2018 by     No Comments    Posted under: Il pippone del venerdì

Mi ha colpito molto la notizia dell’aggressione subìta da alcuni giovani a Subaugusta, nel settimo municipio di Roma. Nella notte fra il 30 giugno e il primo luglio alcuni fascisti hanno riempito i muri della locale sezione del Pd e dei locali adiacenti di Rifondazione di scritte e simboli, nello stabile c’erano tre ragazzi che stavano studiando e si sono presi la loro dose di insulti. Intanto un applauso al loro sangue freddo: se fosse successo a me sarei uscito prendendo tutti gli oggetti contundenti che trovavo in sezione. E sicuramente sarebbe finita peggio.

L’episodio in sé non è neanche straordinario. A Roma, ormai, casi di questo tipo succedono da anni. Di solito ci si arma di vernice e pennello e si ripuliscono le pareti. La novità è la sfrontatezza dei fascisti, che colpiscono un locale con dei ragazzi dentro. Non si nascondono più ormai, sono sempre più arroganti, certi dell’impunità. E’ una questione di clima politico che si respira. I nemici sono i migranti, i nomadi, i deboli. I fascisti no, quelli vanno perfino coccolati. Succede ad esempio che, proprio nella giornata di ieri, sia stato sgomberato uno stabile dove dormivano un centinaio di rifugiati del Sudan al Tiburtino. Stessa sorte che hanno subìto per cavilli burocratici sedi dei partiti della sinistra ed esperienze sociali. Ci hanno provato addirittura con la Casa internazionale delle donne. Ma le tante occupazioni abusive di Casapound e Forza Nuova sono quanto meno tollerate. I locali Ater di via Taranto, ad esempio, occupati da più di un anno per realizzare una mensa per gli indigenti, dove possono accedere solo gli italiani.

Si respira una brutta aria, insomma, a Roma. L’amministrazione a Cinque stelle, in diverse zone della città appare contigua a Fratelli d’Italia. Il nuovo governo non ha di certo fatto dell’antifascismo la sua bandiera. E le conseguenze sono queste. Il problema più grande è la mancanza di capacità di reazione delle forze democratiche. Continuo con l’esempio di Subaugusta  perché lo trovo emblematico. Arriva subito qualche inutile comunicato di solidarietà, buono solo a farsi belli sui social, i giornali di solito li ignorano. Si programma una riunione del coordinamento antifascista di zona, ma nel frattempo nella sezione irrompe il presidente del partito, Matteo Orfini e lancia una solitaria manifestazione del Pd. Quasi a voler mettere il cappello – anzi il simbolo – su un tema, quello della difesa della democrazia che dovrebbe essere al contrario patrimonio di tutti.

Una iniziativa sbagliata e controproducente. Malgrado questa improvvida presa di posizione, del resto stiamo parlando di Orfini non si può pretendere di più, il giorno dopo si riunisce il coordinamento. Una riunione molto affollata, mi raccontano, con tutte le forze sociali e politiche. Che si chiude programmando addirittura un festival dell’antifascismo. Da fare a settembre. Nell’immediato si pensa a un volantino. E’ chiaro a tutti che serve una reazione immediata e continua allo stesso tempo e che parlare di settembre vuol dire rinviare tutto a dopo le ferie. Nel migliore dei casi.

Ecco, io credo che quest’episodio la dica tutto sullo stato della democrazia nel nostro Paese. Domani andrò in giro con la mia maglietta rossa, rispondendo alla bella iniziativa lanciata da don Luigi Ciotti. Ma non credo davvero che basti “una maglietta rossa per fermare l’emorragia di umanità”. Quel rosso addosso dobbiamo portarlo tutti i giorni, dobbiamo farlo vivere nei comportamenti quotidiani. Io credo che il razzismo e il fascismo si combattano con robuste iniezioni di cultura, sconfiggendo la paura che è stata instillata in dosi massicce nel nostro Paese. Hanno vinto le elezioni puntando sulle divisioni, così continuano a governare. Non basta dire, come fa ottimamente il presidente dell’Inps Boeri, che i migranti servono alla nostra economia, alle nostre pensioni. Dobbiamo cambiare il sentimento popolare contrario ai migranti che, sia pur del tutto immotivatamente, è presente e radicato. E allora la ricostruzione di una sensibilità diversa in questo Paese passa per azioni uguali e contrarie.

Mi spiego meglio: loro imbrattano i muri con svastiche, manifesti lugubri e scritte assurde? Rispondiamo con murales allegri, pieni di colori. Invece di manifestazioni solitarie del Pd, chiamiamo tutte le forze democratiche, l’Anpi, l’Arci, i sindacati, i partiti, le associazioni dei migranti E vediamoci a via Taranto. Prendiamo le serrande di Forza Nuova, che adesso hanno una lugubre rivisitazione del tricolore, e riempiamole di immagini allegre, magari dei grandi fiori con i colori dell’arcobaleno. E poi ripetiamo l’iniziativa negli altri covi fascisti. Mi immagino una grande manifestazione pacifica e allegra, itinerante per la città. Facciamo tornare Roma a essere capitale della solidarietà, ricordiamo ai romani che hanno impressa nel loro dna la fusione delle razze e l’accoglienza.

Ecco, e la finisco qui, perché d’estate meglio non esagerare, questa ovviamente è soltanto un’idea pazza, uno spunto. La sinistra che torna a vincere, secondo me, non passa da alchimie elettorali o da fantomatiche “coalizioni del fare” (fare cosa?). Parte dall’unità costruita su questioni concrete e su grandi battaglie comuni. Chi ci sta, ci sta.

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