La Grande Risacca: Sinistra e Capitalismo al tempo dell’algoritmo

Mar 16, 2018 by     No Comments    Posted under: appunti per il futuro

Di seguito diamo ospitalità a un interessante saggio di Luigi Agostini, che ringraziamo per queste riflessioni.

La tecnologia non è né buona né cattiva; nemmeno neutrale.
(Prima legge di Kranzberg)

Tra mondializzazione dei mercati/riterritorializzazione degli interessi

Il mondo da oltre un decennio è attraversato da un doppio movimento: da una parte una sempre più spinta mondializzazione dei mercati, dall’altra una sempre più spinta riterritorializzazione degli interessi; interessi locali e interessi nazionali.
Il primo movimento rimanda al secondo e viceversa. La velocità di entrambi i movimenti sta nella rivoluzione informatica, nella potenza di calcolo che ne è il motore. Le due dinamiche, in una dialettica sempre più aspra e biunivoca, insieme modellano la struttura  del mondo. E quindi necessariamente prima o poi anche la sovrastruttura politica e istituzionale, nei contenuti e nelle forme, dei singoli paesi.
Questa doppia dinamica, nella potenza tellurica che sta assumendo, porta a configurare una spazialita’ politica inedita; inedita sia per la progressiva accelerazione assunta da tali movimenti sia per il peso, anche quantitativo dei fenomeni che tali movimenti innescano e producono.

La potenza tellurica di tali movimenti sprigiona dal nuovo nesso scienza/tecnologia, in accelerazione esponenziale, emblematicamente raffigurata dall’algoritmo. L’algoritmo risale ai primordi della storia dell’uomo, ai Babilonesi, a Pitagora, come ricorda Paolo Zellini, in La Matematica degli Dei e l’Algoritmo degli uomini. Solo oggi, però, con la potenza di calcolo prodotta dalla rivoluzione informatica, l’algoritmo diventa progressivamente un fattore determinante  di ogni aspetto della vita quotidiana. Il nuovo spazio politico assume i contorni, la forma di una Grande Risacca: in termini sociali, ad un estremo la secessione dei Patrizi (Saskia Sassen), all’altro estremo la secessione dei Plebei. Le onde della globalizzazione dei mercati producono il Partito della Trilateral, il Partito di Davos,il cosmopolitismo della borghesia; le onde della riterritorializzazione degli interessi producono partiti territoriali, nazionalisti e leghisti. Fino al sangue e suolo di memoria fascista.

Sinteticamente, tale doppio movimento spinge la Forma sociale, cioè il Sindacato  ad una sua progressiva aziendalizzazione e corporativizzazione del lavoro; spinge la Forma politica, cioè il Partito organizzato, alla frammentazione,  alla proliferazione in tanti partiti personali, sempre più simili alle compagnie di ventura dell’età del Rinascimento.
Come conseguenza complessiva e ultima, la politica è  ridotta ad intrigo, congiure, gioco di Palazzo, ed intrattenimento, maschera di una lotta feroce tra oligarchie, buono soltanto a riempire i palinsesti dell’industria della comunicazione, diventata a sua volta, arma formidabile nella contesa tra le stesse oligarchie.  Con il popolo confinato al ruolo di spettatore, come la plebe romana al Colosseo.

Tra dissoluzione della Sinistra Storica e Rivoluzione informatica.

Naturaliter, in tale Risacca, la Sinistra socialista, proprio perché è l’unica sinistra che non può che essere allo stesso tempo sociale e politica, viene accompagnata alla periferia della storia, alla sua insignificanza: la parabola dei socialisti francesi, del Pasok greco ecc. come comune destino.
Tale destino può essere contrastato ad una sola condizione: se la Sinistra di tradizione socialista – che ha espunto in questi decenni, persino dal suo vocabolario la parola capitalismo – trova la forza di  mettere mano ad una grande riorganizzazione teorica e culturale, premessa di ogni controffensiva politica: se opera cioè un ritorno alle sue origini, come sta tentando Corbyn, una Bad Godesberg alla rovescia.
Solo così è possibile accumulare la forza sufficiente per  forzare i vortici della Risacca, uscire dal buco nero della sudditanza al mercato, e riaprire – dentro la Grande Crisi e la prospettiva della Stagnazione Secolare  – la dialettica/conflitto con il capitalismo della attuale fase: il capitalismo informazionale. La crisi in cui versano tutti gli attuali partiti socialisti parla sostanzialmente di questo: i cambiamenti nella struttura pongono tali forze di fronte ad un bivio inaggirabile.
L’Italia vive una situazione ancor più specifica: il triangolo, costituito a un lato dal modello di partito liberal proposto al Lingotto, e agli altri due, dal giornale/partito della Repubblica di Debenedetti, e dalle Primarie come mito fondativo ,è diventato rapidamente il triangolo delle Bermude della Sinistra storica italiana, il luogo dove si è progressivamente spenta la sua autonomia ,culturale e politica.

La fotografia è impietosa:
Dietro,alle spalle abbiamo la dissoluzione della Sinistra storica-fine del PCI ,la macchina politica più potente dell’Occidente,  collasso del psi ,il partito più antico del paese – ,con tutti i suoi detriti;
Davanti, la rivoluzione informatica, l’affermarsi di un nuovo paradigma tecno-economico e le  nuove contraddizioni che tale affermazione produce nel suo cammino.

Contraddizioni, su cui a malapena è incominciata un’analisi critica. Come impostare il discorso di un nuovo Partito della Sinistra, in grado di affrontare le nuove contraddizioni?

Ieri, la rivoluzione fordista ha prodotto le contraddizioni, e quindi la necessità di grandi Partiti di massa;
Oggi la rivoluzione informatica quali contraddizioni  produce per alimentare la necessità e la vita di un nuovo partito della Sinistra? L’impresa che la Sinistra ha di fronte è sostanzialmente analoga a quella che gli si parò di fronte all’apparire del Fordismo e su cui A. Gramsci scrisse le pagine indimenticabili di Americanismo e Fordismo. Impresa però ancor più complessa e sofisticata. La rivoluzione informatica è, infatti,  molto più  pervasiva  e  avvolgente della rivoluzione fordista. Oltre il corpo coinvolge sempre più la mente ,il modo di pensare, come dice D.Dekerkowe. L’impresa è in primo luogo culturale. Egemonica. Esiste però un punto fermo e in comune tra le due rivoluzioni tecnologiche, fordista e informatica.

La Sinistra ora come allora, continua a definirsi fondamentalmente in rapporto ala sua concezione del Mercato: atteggiamento di autonomia o di subalternità. La rivoluzione informatica, finora , ha diviso la sinistra in due tronconi: per dirla con Umberto Eco, da una parte gli Apocalittici, dall’altra gli Integrati. Una forma di neoluddismo ,una forma di passività.
Il capitolo sulle Macchine, frutto della folgorante intuizione  di Marx, non ha innervato nessuna forza ,ne’ sindacale ne’ politica: solo qualche minoranza isolata.
Questo scritto vuole essere un contributo in tale direzione.

Un nuovo modo di produrre – un nuovo paradigma tecnico-economico – sta rivoluzionando i quadri temporali, spaziali, istituzionali, sociali di tutti i continenti. Dopo Manchester (nascita della prima rivoluzione industriale), Detroit (nascita del fordismo), la Silicon Valley è diventata il centro di irradiazione della “nuova tempesta di distruzione creatrice”. Questi tre luoghi geografici rappresentano anche tre luoghi. Emblematici  per il pensiero socialista: Manchester per Marx, Detroit per Gramsci; la Silicon Valley è ancora alla ricerca di una teoria all’altezza delle sistemazioni del passato.

Un recente contributo di Evgenij Morozov è particolarmente suggestivo. Siamo, secondo gli studiosi di scuola schumpeteriana, nel pieno del quinto ciclo di Kondratief (cotone, carbone, acciaio, petrolio, microprocessore).  Ma cambiando il modo di produrre e di consumare, cambiano tutti i rapporti sociali. Vi ricordate? Il mulino a braccia vi da “la società” del signore feudale, il mulino a vapore la società del capitalista industriale. Cosa ci sta dando il mulino digitale? L’essenza, la peculiarità, del nuovo modo di produrre sta nella capacità – in un accumulo in grande accelerazione — di progettare rapidi mutamenti nei progetti, nei processi, nell’organizzazione: individualizzazione del lavoro, personalizzazione del consumo,sembrano essere le tendenze fondamentale. Integrazione nelle imprese delle fasi di progettazione e di produzione, riduzione di importanza delle economie di scala, alleggerimento e riduzione del numero dei componenti meccanici in tanti prodotti, integrazione in rete dei fornitori di componenti e di imprese di assemblaggio dei prodotti finali, sviluppo velocissimo di piccole imprese specializzate nella produzione di servizi e componenti.

Così schematizzati, possono riassumersi i principali caratteri dei cambiamenti organizzativi nelle imprese e nei settori. Potenza di calcolo (computer) e di comunicazione (telefonia, reti di computer, Internet),  sempre maggiore e a costi via via decrescenti, costituiscono la rete su cui scorre la transizione dal fordismo al nuovo modo di produrre. Ma potenza di calcolo e comunicazione sono risorse la cui particolarità sta nel produrre organizzazione, alimentando relazioni, ordinando dati, creando significati.

Un modo di comunicare, è anche un modo di organizzare. (Christopher Freeman)
Secondo un’antica regola, le prime vittime dell’onda d’urto sprigionata dal nuovo modo di produrre – un vero e proprio tsunami – sono proprio i sistemi più organizzati e strutturati: ciò vale sia per i sistemi di pensiero, sia per le realtà, produttive o politico-istituzionali. L’onda d’urto ha avuto un effetto micidiale sull’insieme del discorso strategico socialista; ad andare in pezzi sono stati soprattutto due pilastri: la concezione del lavoro come dimensione collettiva, la concezione dello Stato/nazione come luogo storico e strumento principe delle politiche di redistribuzione e di cittadinanza. Strategicamente, l’individualizzazione del lavoro, configura un processo di destrutturazione  dello spazio sociale, l’esaurimento-svuotamento dello Stato-nazione, nel vortice della globalizzazione, configura una destrutturazione dello spazio politico. Ma l’effetto combinato della destrutturazione dei due pilastri sconvolge il triangolo dello Stato/nazione – democrazia politica – cittadinanza sociale – che ha rappresentato lo spazio politico, l’arena all’interno della quale, in un lungo scontro-confronto, si è costruito l’edificio moderno dei diritti sociali, “stecche del corsetto” della cittadinanza democratica.

Destrutturazione dello spazio sociale.

Quali sono le nuove faglie sociali, intrinseche al nuovo modo di produrre? Chiederselo è imprescindibile, coglierne le linee di tendenza sonoessenziali – perché solo in questo modo è possibile fare i conti con l’affermarsi del nuovo paradigma. Ragionare sulle cause profonde di tale crisi mi sembra prioritario. All’inizio, l’analisi va posta sulle nuove faglie sociali, intrinseche al nuovo modo di produrre. Riconcettualizzare la “frattura sociale”, coglierne le nuove caratteristiche, diventa determinante, per fare i conti con le ragioni della crisi e per delineare i termini e i terreni di una possibile controffensiva, che per essere tale deve riguardare la riorganizzazione del discorso su entrambi i pilastri; non solo il pilastro dello spazio sociale, ma anche il pilastro dello spazio politico, proprio perché l’ultimo ha svolto e svolge, nello stesso tempo, la funzione d’ambito e di garanzia del primo.
Nel suo grande affresco sul capitalismo informazionale – la sistemazione forse più profonda sulla terza marca di capitalismo, dopo quello del laissez-faire, dopo quello keynesiano – Manuel Castells evidenzia, come all’interno del nuovo modo di produrre, emergano due grandi faglie sociali, fenomeni confermati anche da tante analisi di caso: la prima riferita al lavoro, la seconda alla condizione sociale.

  1. a) Il lavoro sta vivendo una profondissima metamorfosi: un primo aspetto riguarda il processo d’individualizzazione, aspetto su cui si è concentrata particolarmente l’attenzione, cioè il passaggio dal lavoro-posto al lavoro-percorso; ma c’è anche un secondo aspetto, ancor più importante, la tendenza crescente alla sua interna polarizzazione: da una parte cioè una specie di riartigianalizzazione del lavoro, dall’altra un lavoro generico, dequalificato.

Inoltre, il lavoro non solo s’individualizza e si polarizza ma subisce un’ulteriore trasformazione: perde parte della sua potenza e della sua capacità d’integrazione sociale; in termini politico-sociali le implicazioni sono formidabili proprio perché, nel lavoro e con il lavoro, si è realizzata la grande opera di integrazione sociale dell’era moderna. A ben vedere, la metamorfosi del lavoro porta anche a una crisi progressiva, a uno svuotamento, della stessa categorializzazione del lavoro affermatasi fin dal sorgere della rivoluzione industriale: i tessili, i chimici, i metalmeccanici ecc.; ma tale categorializzazione, pur di natura essenzialmente merceologica, ha funzionato, per dirla con Max Weber, anche come idealtipo: essere cioè allo stesso tempo identità e arma formidabile nella lotta sociale delle classi lavoratrici.

Tale questione ha un’enorme portata, proprio perché sul nesso categoria/camera del lavoro si è costituito il Sindacato confederale, la forma più politica di sindacato, e di cui la categoria rappresenta il muro portante dell’intera costruzione. Il nesso categoria/camera del lavoro ha simbolicamente rappresentato il tentativo di impedire che il lavoro si riducesse primitivamente a semplice forza-lavoro.

Ma se ricategorializzare il lavoro diventa sempre più necessario, di fronte al progressivo svuotamento di significato della antica categorializzazione  merceologica, ricategorializzare il lavoro significa anche smontare e rimontare la forma di organizzazione che le lotte del lavoro hanno costruito e sedimentato in decenni e decenni di lotta sociale. Ma non c’è alternativa: oggi un uomo al computer è un uomo al computer in tutte le postazioni di lavoro. Il nuovo modo di produrre permette, infatti, contemporaneamente sia l’integrazione del processo lavorativo, sia la destrutturazione della forza-lavoro; e, conseguentemente, della sua potenza di integrazione.

Le tecnologie informatiche ed elettroniche – una volta si sarebbe detto l’uso capitalistico delle macchine – rendono possibile la disintegrazione e la dispersione delle antiche comunità di lavoro. Delocalizzazioni e ristrutturazioni diffondono insicurezza. L’obsolescenza rapida dei saperi e dei mestieri genera erosione biografica (Richard Sennet).
Ma le tecnologie informatiche rendono  possibile anche il processo inverso:innescare cioè un processo di recupero di autonomia del lavoro: passare dalla mano d’opera al cervello d’opera. Come imboccare e percorrere tale via? Questo è il tema fondamentale su cui ricostruire sia la futura confederalità del sindacato, sia il futuro di una forza politica neosocialista.

  1. b) La seconda faglia si configura come un ritorno della vulnerabilità, inedita e su larga scala, cioè l’emergere e l’estendersi del fenomeno definito esclusione sociale.

In termini di struttura sociale, tempo fa si parlava della società dei due terzi. Una società industriale che vedeva la gran parte dei suoi membri integrata verso l’alto, che si lasciava dietro però una fascia residuale di povertà, fascia non ancora pienamente coinvolta nel processo di sviluppo ,questione che, affrontata però con politiche opportune, sostanzialmente redistributive, lasciava intravedere la possibilità di un qualche riassorbimento.
Oggi invece alcuni parlano di società dei quattro quinti: un nucleo ristretto, collocato molto in alto in termine di occupazione e di reddito, circondato da una grande area di precarietà e di vulnerabilità che naviga faticosamente tra lavoro precario, occupazione intermittente, disoccupazione. Thomas Piketty) Altri ancora di società dei tre terzi, un terzo di privilegiati, un terzo di deboli, un terzo di precari.

Tutte le interpretazioni puntano comunque a evidenziare che la marginalità non indica tanto un’area periferica in via di più o meno lento assorbimento, quanto il prodotto della destabilizzazione degli stabili, per dirla con Robert Castel, l’effetto cioè dell’onda della crisi che parte dal centro della società, in particolare del lavoro salariato e confina al margine una parte sempre più consistente di popolo.
Il senso del mutamento sociale in corso configura una nuova questione sociale, i cui elementi fondamentale possono così riassumersi: drastica riduzione della mobilità sociale verso l’alto, destabilizzazione degli stabili, polarizzazione del lavoro, perdita del potere di integrazione del lavoro.
Il tema della povertà e della diseguaglianza, tema eminentemente economico e che rimanda a politiche distributive, si mescola e viene progressivamente sovrastato dal tema della esclusione sociale, tema eminentemente relazionale, che rinvia a sua volta alla questione ben più complessa del legame sociale, della sua rottura e della sua ricostruzione.

Si tratta di fare i conti con i caratteri nuovi sia della configurazione del lavoro, sia della configurazione sociale e, tutto ciò, in un contesto in cui le grandi migrazioni e l’insicurezza spingono alla etnicizzazione e alla corporativizzazione del conflitto sociale: significa sinteticamente una profonda reinvenzione strategica ed organizzativa del campo di forze della sinistra politica e sociale – in sintesi della costruzione/ricostruzione di un nuovo assetto strategico,( analogo a quello dei movimenti socialisti delle origini), del  Partito. Sindacato, della  Cooperazione, dei Movimenti Consumeristici. Senza Partito la stessa autonomia del sociale finisce per essere episodica ed esaurirsi in se stessa.

Destrutturazione dello spazio politico.

Sostiene Jurgen Habermas che la questione oggi più importante è quella di sapere se la forza del capitalismo planetario – forza esplosiva in senso produttivo, sociale, culturale – possa essere ricondotta sotto controllo sul piano sopranazionale e globale, ossia al di là dei confini nazionali. Tale possibilità decide nella sostanza del rapporto tra politica e mercato: se la politica riguadagna terreno rispetto agli automatismi del mercato oppure se continua a svolgere solo una funzione ancillare; allenare i propri cittadini alla concorrenza, trasformare i cittadini in impresari del proprio capitale umano – alla Tony Blair – adeguarsi semplicemente a una visione etica del mondo che è tipica del neoliberalismo; se, in definitiva, il capitalismo globalizzato possa essere addomesticato o semplicemente smorzato. La costruzione di Entità Statuali Continentali diventa il banco di prova ed insieme la condizione per innalzare a un livello superiore la potenza della politica. Il triangolo stato/nazione – democrazia politica – cittadinanza ha rappresentato lo spazio, all’interno del quale, attraverso un lungo processo di lotte politiche e sociali, il movimento operaio e socialista è riuscito ad addomesticare gli spiriti animali delle due precedenti forme di capitalismo. L’esaurimento dello stato/nazione mette la sinistra di fronte ad un bivio: disarmo dello stato sociale o riarmo dello stato/nazione; accettare un’ erosione degli standard pubblici di solidarietà sociale, oppure delineare un balzo in avanti; pensarsi e proporsi cioè come la forza propulsiva del nuovo Stato federale europeo, sia per garantire la difesa e l’avanzamento della strategia della cittadinanza democratica, sia per costruire una prospettiva di governo del processo di globalizzazione.

In un saggio recente, Massimo D’Alema sostiene che «un forte potere democratico sopranazionale non è mai stato assunto come carattere distintivo dai partiti socialisti europei»; la radice di tale orientamento sta probabilmente nell’errore di aver concepito la globalizzazione come interdipendenza invece che come rottura di confini, come sconfinamento come sostiene Carlo Galli.

Errore che, se è stato fatale a Mikhail Gorbaciov, non è stato certamente irrilevante per i partiti socialisti europei, quando, al governo in tredici Stati su quindici, non hanno colto l’occasione straordinaria per chiudere la partita dello stato federale europeo. La globalizzazione, dal punto di vista sociale, si è rivelata come polarizzazione spaziale, come polarità tra locale e globale. Per riportare sotto controllo la potenza del capitalismo planetario, forma più indurita nei suoi scopi, ma incomparabilmente più flessibile nei suoi mezzi delle forme precedenti di capitalismo, è indispensabile riordinare lo spazio politico, ridefinire i confini.

Mentre, appunto, la globalizzazione sembra dispiegarsi attraverso una doppia dinamica (mondializzazione dei mercati – riterritorializzazione degli interessi) una politica socialista dovrebbe, all’inverso, separarsi e uscire dalla cattiva polarità locale-globale. Se, infatti, lo Stato-nazione, strategicamente, risulta una trincea abbandonata, la polarità locale/globale configura una doppia negatività: una dimensione locale sostanzialmente ininfluente, o peggio ancora, uno scivolamento verso le piccole patrie, e una dimensione globale sostanzialmente inafferrabile.
Il cosmopolitismo borghese non è la stessa cosa dell’internazionalismo proletario, per usare una antica formula.
Solo un Partito socialista della globalizzazione può proporsi di determinare una nuova spazialità come arena della contesa tra mercato e politica: assumere lo stato federale europeo come suo nuovo spazio politico, può, a un tempo, ridare allo spazio territoriale la funzione di pietra angolare progressiva, e allo spazio europeo la potenza necessaria per un controllo multipolare del processo di globalizzazione.

Inoltre, se la struttura sociale post-fordista presenta molte analogie – scontando ovviamente il balzo in avanti simbolizzato dall’avvento della Rete – con la struttura sociale pre-fordista,la configurazione sociale complessiva sembra sempre più assumere le caratteristiche della Moltitudine, per usare una categoria cara a Toni Negri.
Sorge quindi spontanea la domanda:  Come ci si organizza nella Moltitudine? Tutte le grandi città, Napoli docet,oggi sono interpretabili solo introducendo tale categoria.  Se si sta al tema, straordinaria importanza viene ad assumere quelli che con un neologismo possono chiamare Condensatori sociali, cioè organismi cooperativi (autoorganizzazione, volontariato, consumerismo, cooperazione ecc.), che sono a un tempo argine versus l’atomizzazione sociale e produttori di socialità collettiva.

Organismi che nella Rete possono acquistare una diffusione e una potenza assolutamente inedita.
Di straordinario interesse, l’analisi che è proposta da Paul Mason nella sua opera sul Postcapitalismo, insieme con quella di Mariana Mazzucato sullo Stato innovatore.
La nuova rilevanza strategica dei Condensatori sociali è esaltata dal fatto che, mentre l’impresaLa nuova rilevanza strategica dei Condensatori sociali è esaltata dal fatto che, mentre l’impresa fordista contribuiva a costruire essa stessa, concentrando il lavoro, la forza del suo interlocutore, l’impresa a rete, disperdendo il lavoro, lo rende più debole e vulnerabile e ciò, oggettivamente, modifica tutti i rapporti di forza sociali e politici nella città.
Per riformulare una strategia neosocialista, concentrare l’analisi sui Condensatori sociali – vecchi e nuovi – sulla loro missione e sulla loro forma, diventa oltre modo dirimente per due ragioni: se una delle faglie è rappresentata dall’esclusione sociale, cioè da un fenomeno essenzialmente relazionale, la risposta non può consistere in misure sostanzialmente redistributive com’è avvenuto verso la povertà, ma deve spostarsi sulla ricostruzione delle cosiddette reti primarie di solidarietà; reti primarie che il Welfare classico, nel suo percorso, ha sostanzialmente relegato ai margini (lo statalismo ha marciato di pari passo con l’individualismo – direbbe Émile Durkheim).
Ma se il cuore della questione sta nella ricostruzione-costruzione delle reti primarie di solidarietà, ciò significa anzitutto militanza sociale e culturale, più ancora che militanza politica in senso stretto. Probabilmente ha ragione Alain De Benoist – in questo sta forse il suo gramscismo – quando sostiene che se il secolo passato è stato il secolo della militanza politica, il prossimo secolo sarà soprattutto il secolo della militanza culturale e della militanza sociale. Ma ciò non può non avere un effetto profondo sulla forma-partito, sul modello stesso di Partito. L’etero-direzione del mercato, la riattualizzazione continua della cittadinanza sociale e democratica rappresentano sempre il cuore della questione che un partito socialista europeo ha davanti, nella ridefìnizione del suo profilo e del suo ruolo. L’esito di tale impresa dipenderà in definitiva, dalla capacità di riordinare il suo intero campo di forze, attingendo alle stesse esperienze sociali che sempre la realtà incessantemente produce ma selezionandole e connettendole e riconnettendole in un discorso unitario.

Le idee, contrariamente a quello che comunemente si crede, sono l’elemento più abbondante in circolazione nel mondo: sono rare invece le organizzazioni che scelgono e connettono.
Reinventare strategia e organizzazione alla misura della nuova marca di capitalismo e delle nuove faglie sociali rappresenta per tutti gli insiemi che costituiscono la Sinistra l’occasione per misurare le proprie forze e per sfuggire a un destino da replicanti.
Condensatori sociali vecchi e nuovi vanno pensati o riformati alla luce delle nuove faglie. L’invenzione di nuovi istituti (Carta del lavoro all’ Alain Supiot, ecc.), la trasformazione e la riorganizzazione delle Istituzioni storiche (Sindacato confederale, Cooperazione, ecc.), l’investimento in quella che Lesther Salomon chiama rivoluzione associativa (terzo settore, economia sociale, ecc.), lo sviluppo di un altro potenzialmente grande attore sociale come il movimento dei consumatori, lo sviluppo di grandi reti cooperative e comunitarie rappresentano elementi essenziali nella riformulazione del discorso strategico socialista.
Un partito socialista europeo cui pensare – europeo perché l’Europa è la patria della politica – deve proporsi come centro motore di tale innovazione.
Il martello nell’iconografia della concezione originaria marx-lassalliana del partito di massa rappresentava il simbolo della innovazione, cioè di un concentrato di capacità e di volontà collettiva.  Innovazione sociale e, insieme, innovazione politica: non si dà l’altra senza l’una.
Solo diventando centro motore, cioè solo alla condizione di produrre l’innovazione necessaria è possibile porsi al centro di una costellazione di forme antiche e nuove di partecipazione e cooperazione sociale e reggere la sfida con la nuova marca di capitalismo.
Specie nel momento in cui il capitalismo attuale attraversa la più grande crisi della sua storia, crisi che scuote dalle fondamenta i modelli produttivi e i modelli di consumo e che proietta come avvenire una stagnazione secolare.

Modello di Partito.

Un Partito per diventare grande, deve nascere grande proprio per poterlo poi diventare. Ma per diventare grande, il tema del modello di Partito, della sua Organizzazione, diventa imprescindibile. Pena il ridursi a profeti disarmati. Il tema merita uno scritto a se, data la pressoché generale sottovalutazione,se non diffidenza,che la questione della Organizzazione si porta ormai dietro. Qui il tema è necessario richiamarlo almeno per sommi capi. L’Organizzazione, in generale, rappresenta la metafora della lunga durata e dell’impresa collettiva. In un mio scritto di qualche tempo fa, mi è venuta in soccorso una figura  mitologica, il pipistrello, inventata dal favoliere  francese La Fontaine.

Il pipistrello, animale sofisticatissimo e per di più-nella visione immaginifica di Lafontaine-  metà  roditore,metà uccello. Roditore,aderente a tutte le pieghe della realtà’,Uccello, in grado di interpretarla e indicare la via del superamento. La via della trasformazione sociale. Se il mondo fosse come appare – diceva Hegel – non ci sarebbe bisogno della teoria.

In una società liquida, solo una figura cosi ancipite può reggere la doppia pressione/tensione dell’identità, delle radici del passato e della dittatura del presente , dell’essere e del divenire. Ogni forma di Organizzazione rimanda, in ultima analisi, a due fattori di fondo: la struttura sociale e la tecnologia dominante. E alla loro corrispondenza biunivoca.

La rivoluzione fordista ha” prodotto” in definitiva le condizioni del Sindacato di classe e del Partito di massa. Americanismo e Fordismo di Aantonio Gramsci  rappresenta in tal senso un testo formidabile di riferimento.

Quale forma di Organizzazione sta” producendo” la rivoluzione informatica?

La rivoluzione informatica sta producendo-dando un rilievo particolare alla figura del Consumatore- il movimento consumerista. Inoltre, data  la sua pervasivita’ totalizzante sta mettendo in una crisi/trasformazione drammatica ed irreversibile tutte le forme di organizzazione prodotte dalla precedente rivoluzione fordista, il loro modo di vivere e di operare: in primis Partito e Sindacato. Il modello di Partito e di Sindacato che ha trovato la sua piena maturità negli anni settanta, và ripensato dalle fondamenta, portando in salvo due suoi  aspetti basilari :il sistema di valori ,la sacra triade del 1789, -liberteEgalitè fraternitè- ,e la modalità di adesione, cioè l’iscrizione, primo passo del militante.

L’innovazione è sempre la risultante del massimo della tradizione e del massimo della modernità. Un antico maestro insegnava che due questioni sono preminenti per lo sviluppo di una qualsiasi Organizzazione: il reperimento delle risorse, l’attività di formazione.  Con la fine del sostegno pubblico del Partito (ex malo,bonus),le risorse  devono essere autoprodotte dalla Organizzazione: questo fatto significa ,-se ben compreso –il ritorno del ruolo e del peso del militante e dell’iscritto nella vita della Organizzazione. Partito quindi come soggetto collettivo. Militante e iscritto che con una semplice indicazione alla propria banca,autorizza, come oggi comunemente si fa per tante questioni ,rateizzandolo e percentualizzandolo, il proprio contributo , garantendo inoltre per questa via un flusso regolare di risorse alla Organizzazione, condizione di base per la programmazione di ogni attività.
La formazione rappresenta la proiezione di se, nel futuro prossimo venturo, di ogni Organizzazione.

Niente formazione,niente futuro.
Nel vortice della rivoluzione informatica, l’attività formativa assume un ruolo assolutamente strategico: la connessione tra tanti saperi, tra tanti specialismi, tra tanti linguaggi, tanti luoghi di produzione di ricerca, può essere perseguito proprio attraverso  momenti, organizzati e pianificati di formazione. Il tempo dell’algoritmo non può essere saltato, pena  l’irrilevanza prima e  la scomparsa poi.  Tale tempo va afferrato. E posseduto.

La dittatura del presente, che può diventare facilmente il tempo dell’occasionalità, può essere contrastata, solo organizzando luoghi che sono in grado di connettere passato e futuro. La nuova potenza di calcolo, sprigionata dalla rivoluzione informatica, va messa al servizio dell’antico progetto. La rivoluzione informatica permette di organizzare un nuovo e più favorevole rapporto tra il momento verticale e il momento orizzontale, tra democrazia diretta e democrazia delegata, in definitiva ,per dirla sempre con A.Gramsci, tra governanti, soggetto della politica, e governati, oggetto della politica. E’ una grande occasione e sfida.

Tra Apocalittici e Integrati, Prometeo, può ritornare a essere il Santo protettore della Sinistra.

Luigi Agostini

3 marzo 1918

 

 

La politica e il rispetto degli elettori.
Il pippone del venerdì/47

Mar 16, 2018 by     No Comments    Posted under: Il pippone del venerdì

Andiamo dal notaio, firmiamo le dimissioni contestuali dei 26 consiglieri di opposizione, mandiamo a casa Zingaretti e torniamo alle urne, senza, tra l’altro, avere più l’ingombrante candidato del centro-sinistra fra i piedi. Lo ha proposto, trovando scarsi consensi vale la pena sottolinearlo, nei giorni scorsi il pirotecnico sindaco di Amatrice, Sergio Pirozzi. Parentesi breve: come i miei lettori più affezionati sanno, ormai secondo me non si può parlare più di politica, ma di cinema. Bene, quale prova migliore di questa: Zingaretti vince anche grazie alla presenza di due candidati del centro-destra. Che succede poi? Che proprio l’artefice di quella spaccatura lo vuole cacciare. Oltre il cinema, fiction. Chiusa la parentesi.

Perché parto da questo, tutto sommato, secondario episodio della politica laziale nel pippone di oggi? Perché secondo me è emblematico della dimensione autoreferenziale che ha assunto la politica, o almeno una parte degli attori (è il caso di dirlo) del panorama politico italiano.

La legge regionale è chiara: viene eletto presidente della Regione Lazio chi prende un voto in più degli altri contendenti. Se non raggiunge il 60 per cento dei seggi gli viene attribuito un bonus massimo di dieci consiglieri, il cosiddetto premio di maggioranza. Poi c’è questa possibilità, assolutamente contradditoria lo sottolineo una volta di più, prevista dal nostro ordinamento anche nella legge per l’elezione dei sindaci: la sfiducia dell’aula o le dimissioni contestuali della maggioranza dei consiglieri provocano la decadenza del presidente e lo scioglimento del consiglio stesso. Dico che si tratta di una norma contraddittoria perché visto che il presidente è eletto dai cittadini, non ha bisogno del voto di fiducia dell’aula, non si capisce come quest’ultima possa sfiduciarlo. Si tratta di un espediente per ridare potere agli organismi collegiali indeboliti dall’elezione diretta del vertice. Ma è comunque una norma, lo ribadisco, del tutto contraddittoria.

Sono stati, però, altrettanto chiari i cittadini del Lazio: pur nella stessa tornata elettorale in cui si votavano anche Camera e Senato, quando hanno avuto in mano la scheda verde, quella per le regionali hanno cambiato il voto che hanno dato sulle altre due, i cui avevano premiato 5 stelle e destra, dando più voti al candidato Nicola Zingaretti. Questo fatto non va sottovalutato, lo preciso meglio, perché rappresenta un elemento importante di riflessione. La campagna elettorale, in questi casi, tende ad appiattire i risultati. Ovviamente prevalgono i messaggi politici nazionali. Questa volta, invece, l’indubbio consenso personale di Zingaretti (il presidente ottiene 1milione e 18mila voti, la somma delle liste che lo sostengono si ferma a 861mila)  porta a capovolgere addirittura il risultato delle politiche.

Viene da pensare che, proprio per l’effetto appiattimento, se non si fosse votato lo stesso giorno il divario fra il presidente uscente e i suoi avversari sarebbe stato anche maggiore, ma questa è un’altra storia.

Quello che esce da questa tornata elettorale nel Lazio è insomma evidente: i cittadini vogliono ZIngaretti presidente, ma lo obbligano a confrontarsi con le opposizioni per governare. Io lo traduco brutalmente così, magari sbaglio: ci fidiamo di te, non di quelli che ti sei portato appresso.  E il presidente riconfermato, che lo ha capito, si appresta a un giro di confronto con le opposizioni. Bisogna anche notare che si tratta di tre schieramenti differenti: da un lato i grillini, poi il centro-destra classico e infine il simpatico Pirozzi. Fatto di cui tenere conto: non è la stessa cosa che avere di fronte una opposizione unica.

Apro un’altra parentesi, perdonatemi, ma i temi si intrecciano: dal punto di vista meramente tecnico, questa è la dimostrazione plastica di come, in un sistema tripolare l’unica legge che assicura una maggioranza stabile, piaccia o no, è quella dei sindaci: elezione diretta, ma con il doppio turno e premio di maggioranza fisso.

Riprendendo il filo, cosa sconcerta nel ragionamento tutto politico che fa Pirozzi? Il mancato rispetto per la volontà degli elettori. Vale la pena di ricordare il precedente non fortunato per chi lo mise in pratica. Il Pd che sfiducia il suo sindaco a Roma. Ora, Ignazio Marino, pur venendo dopo il disastro di Alemanno, era ai minimi storici di popolarità. I cittadini romani lo consideravano uno dei peggiori sindaci della storia recente. Ma non tollerarono quell’atto vigliacco e prepotente al tempo stesso: quelle firme messe di nascosto per far decadere il sindaco eletto dai romani. Da quella data il Pd a Roma non ha vinto manco le condominiali. E’ come se gli elettori si fossero sentiti espropriati: lo abbiamo eletto noi e lo giudichiamo noi. Né si può dire semplicemente che in questo caso non sarebbe la maggioranza ma l’opposizione a far cadere Zingaretti. E’ una semplice aggravante che non inficia il senso del ragionamento: il presidente eletto dai cittadini lo giudicano i cittadini.

Io credo che chi fa politica debba sempre avere il massimo rispetto e la massima attenzione per gli elettori. Badate, non solo per i propri elettori, ma proprio per il complesso del corpo elettorale. E fare politica significa anche capire quello che ti hanno detto con il loro voto. Nel caso delle elezioni regionali è chiaro. Come, però, proviamo a fare un passo in avanti, è chiaro anche per quanto riguarda le elezioni politiche: il fatto che nessuno degli schieramenti arrivi alla maggioranza dei seggi è frutto, come è evidente, di una legge elettorale studiata appositamente, ma è al tempo stesso anche il messaggio profondo di questo 4 marzo. Vuol dire: nessuno di voi ci ha convinto fino in fondo. E allora che fare? Si torna a votare? Io credo che la cosa più seria da fare, una volta esaurita la fase della gara a chi ce l’ha più lungo, sarebbe avviare un confronto fra le forze politiche, fra quelle che si presentavano con idee simili e provare a costruire un esecutivo su basi programmatiche. Al di là dei toni e della propaganda, forse, se ci fosse un po’ di umiltà non sarebbe neanche tanto difficile.

Dico questo, e la finisco qui, perché questa legge, al di là delle balle che ci siamo sorbiti in questi mesi, è essenzialmente proporzionale. E anche il 30 per cento dei parlamentari che si elegge nei collegi uninominali, per effetto della presenza di tre poli di grandezza confrontabile, tende a diventare quasi proporzionale. A riprova di questo, salvo rare eccezioni, basta portare lo scarso rilievo avuto dal voto al singolo candidato rispetto al voto al partito. E nei sistemi proporzionali, facciamocene tutti una ragione, ci si confronta su programmi, si prendono i voti e poi si cerca una sintesi con chi è più simile a noi. Vi lascio proprio con questo interrogativo, inevaso. Chi è più simile a chi nel sistema politico italiano attuale?

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